venerdì 25 settembre 2009

L’anima del progetto Chance





Immagini per il seminario  Scritture in corso
Tempo fa uno scienziato cattolico integralista (appena un po’ !!) andava dicendo che i comunisti valevano poche centinaia di lire perché a tanto ammontava il prezzo delle materie prime di un corpo umano levata l’acqua che ne costituisce una gran parte, ma soprattutto levata l‘anima in quanto i comunisti sono senz’anima.  Una bella trovata. Sono secoli che c’è gente che ogni tanto si pone il problema della sede fisica dell’anima e fornisce risposte più o meno metafisiche. Io ho un problema ancora più complicato: mi sono convinto che il Progetto Chance abbia un’anima e devo scoprire dov’è per poterla salvaguardare dal peccato e dal diavolo.
In questo momento il Progetto, come previsto è finito: continuano alcune funzioni vitali essenziali, ma entro venti giorni verrà staccata la spina. Molti sono pronti a farlo vivere, a rialzarlo, ma noi abbiamo paura che nel frattempo l’anima sfugga.
 Giovedì 24 settembre 2009 nell’agorà (nome nobile ed impegnativo) di Istituto professionale Ponticelli c’erano cinquanta persone tra “genitori sociali” educatori, psicologi, pedagogisti, docenti. Abbiamo preso atto delle attività che stanno funzionando, abbiamo sentito in modo acuto la difficoltà di persone che stanno cercando di produrre il massimo di serenità ed equilibrio in una situazione in cui sentono che non solo sta finendo il progetto, ma anche  una loro fonte  - precaria  - di reddito.
Dunque era al centro dell'agorà l’anima del progetto. Gli studiosi delle organizzazioni la chiamano ‘comunità di pratica’; gli studiosi delle organizzazioni scolastiche la chiamano ‘comunità di apprendimento’.
Che cosa è? è un luogo di scambio umano tra professionisti  che confrontano sistematicamente il lavoro che svolgono con la propria struttura mentale e psichica, che apprendono il mestiere di educatore mentre lo fanno, che devono tenere ogni giorno un ‘dialogo di vita’ difficile e doloroso per il dolore che sono costretti a vedere e tollerare, per il dolore che gli viene inferto da attacchi al ruolo e alla persona.
Nella comunità di pratica  - non sono parole mie – si parla un linguaggio niente affatto neutro o oggettivo, ma un linguaggio intriso delle emozioni e delle relazioni in cui si sviluppa. Tutto questo ha dei luoghi e dei modi di svolgimento che sono peculiari ed unici: noi lavoriamo sistematicamente e frequentemente a far funzionare la comunicazione tra operatori e con i giovani, una comunicazione che parte dal vivere insieme e non dalla mera applicazione di regole linguistiche.
Una simile organizzazione ci consente di elaborare il dolore e le sconfitte, di apprendere dalle sconfitte, di accettare le sfide che le sconfitte pongono al pensiero e alla persona.
Una simile organizzazione ci ha permesso per undici anni di sostituire senza gravi traumi le persone che lasciavano il progetto e addirittura di tollerare per tre anni una riduzione dei mesi di scuola reali e impiantare un lavoro tanto complesso con docenti precari che stavano con noi per pochi mesi. Questa organizzazione è quindi sana e vitale ed ancora in grado di accogliere  nuove persone, di accettare la sfida di una generalizzazione consistente.
Ma occorre salvaguardare le condizioni materiali perché l’anima del progetto sopravviva e possa permeare di sé le persone  che intendono continuare questo lavoro.
Dunque noi sappiamo che la sede materiale dell’anima è in mezzo a quelle cinquanta persone; sappiamo che tutte quelle persone possono essere a più riprese sostituite, ma che non possiamo eliminare quel momento di confronto. Il re persiano Serse esibiva in battaglia un corpo militare di ‘immortali’: aveva una scuola e una organizzazione e soprattutto dei legami tanto forti tra i guerrieri (persino di tipo erotico si suppone), che era possibile sostituire all’istante i caduti.  Noi non ci troviamo in una situazione così cruenta ma certamente abbiamo dimostrato con i fatti che ‘l’immortalità dell’anima’ è possibile.
Dunque la partita che stiamo giocando è questa. E mi pongo di nuovo la domanda: ma si può fare una manifestazione con uno striscione in cui  c’è scritto: vogliamo salvare l’anima?
L’unico modo che abbiamo è far vivere l’anima del progetto tra la gente, far sentire a tanti questo soffio lieve in grado di rendere preziosa una esistenza umana i cui componenti chimici valgono poche centinaia di euro.
Così abbiamo pensato ad una manifestazione diffusa in cui tanti piccoli gruppi, collegati tra loro  attraverso vari canali comunicativi, per cinque minuti pronuncino insieme le parole che vengono dalle voci dimenticate della città.
In altra sede daremo le indicazioni pratiche per realizzare questo grande evento  educativo in cui la città cerca di educarsi, di tirarsi fuori da una condizione di minorità rispetto a palazzi che in realtà hanno perso da tempo tutto il potere tranne quello di impedire ai cittadini di riconoscersi la propria anima e la propria capacità di convivere e di far crescere le nuove generazioni.
All’assessore Gabriele, al Presidente Bassolino che stanno mettendo la loro buona volontà dico che questo non basta. Noi non siamo questuanti alla ricerca di un posto di lavoro, o di  realizzare un progetto che soddisfi la nostra vanità, noi abbiamo l’ardire e la pretesa di dire che stiamo ponendo un problema civile che non merita di essere trattato come mero problema tecnico amministrativo.
C’è un modo specifico - tecnico, finanziario, amministrativo - per affrontare le tematiche che poniamo, che ha una validazione scientifica e di esperienza in numerose realtà, occorre quindi una decisione politica e culturale che indichi con chiarezza che bisogna battere strade  giuridicamente e amministrative chiare e solide, ma profondamente diverse dalle prassi che portano la scuola napoletana – e non solo quella -  a ingoiare molti milioni di euro di progetti e contemporaneamente a produrre un numero accresciuto di dispersi.

martedì 8 settembre 2009

Ali di farfalla

Charaxes Jasius (farfalla del corbezzolo) 
(Foto di Francesco La Ragione)

Riproduco la lettera inviata ad alcuni amici che mi chiedono come aiutare i maestri di strada
Dicono i meteorologi che un battito d’ali di farfalla a Pechino può provocare un tifone a Maiami. Significa che nel mondo caotico della meteorologia un piccolo evento può essere l’inizio di una catena causale la cui onda d’urto arriva molto lontano.
Nell'universo politico amministrativo dominato dalle 'forze' e da rapporti di forza caotici competere a quel livello significa semplicemente diventar altro da sé; accettare regole di ingaggio che ti cambiano e ti fanno perdere.
I piccoli cambiamenti sono più solidi dei grandi cambiamenti, degli spostamenti di grandi corpi nuvolosi e alla lunga sono loro a sovvertire i grandi corpi.
Nei momenti di emergenza si è fortemente tentati di usare armi pesanti, di fare qualcosa di grosso.
Bisogna fare una grande fatica per tenere i piedi a terra, avere una grande tenacia nel diffondere i piccoli cambiamenti, una grande resistenza per durare nel tempo. Al disotto dei grandi corpi nuvolosi, ignorando gli anticicloni le eteree farfalle – inquinamento permettendo – continuano a battere le loro ali trasparenti e a costruire giochi amorosi nell’aria, e a innescare lontani e ignorati tifoni. Questa estate in un piccolo bosco impiantato in trenta anni con le mie mani, in questa isola di aria pulita in mezzo a campagne sature di pesticidi ho rivisto, dopo anni di assenza, due farfalle del corbezzolo che si cercavano nell’aria. L’ho preso per un buon augurio e spero che scatenino un tifone dove dico io.
(il mio corbezzolo)
Cari amici,
ripeto a voi quello che dico ad altri e lo ripeterò individualmente a tutti, che sentire buone parole è una cosa della massima importanza, quando si lavora in una sostanziale solitudine. Certo ci sono i momenti collettivi che ti aiutano, ma ogni giorno e ogni ora sei solo a dover prendere decisioni pesanti, a decidere se mollare o continuare, e sapere che qualcuno ti sostiene, che apprezza quello che fai, serve.
Per fare anche una proposta operativa: io penso che intorno al 15 ottobre, quando chiudiamo ufficialmente l'anno scolastico 2008/09 (in ritardo perché abbiamo cominciato tardi) faremo una qualche manifestazione pubblica. In quella occasione sarebbe importante far pervenire testimonianze e prese di posizione. Per i posti dove i nostri amici ci conoscono ma non il pubblico locale si potrebbe organizzare una qualche presentazione, anche in gruppi ristretti, in modo da restituire poi un pensiero, una frase che sia condivisa. Sto pensando a qualcosa che non sia un semplice sostegno a una iniziativa, ma sia anche una occasione per riflettere e modificare un po i propri atteggiamenti verso l'educazione, la scuola, gli emarginati.
Si potrebbe utilizzare internet per tenere aggiornati tutti delle iniziative.


Le ultime informazioni sono quelle previste:
ufficialmente il progetto ha grandi prospettive, nella realtà sto continuando a girare per uffici come un mendicante per ottenere che si facciano i primi passi concreti; c'è una lentezza esasperante, una lenta erosione delle loro stesse dichiarazioni che è veramente stressante. Ci sono da fare scelte tecniche importanti, ma non c'è nessuna attività organizzata per occuparsene: ci sono io che continuo a tampinare tutti. E' una vita che faccio questo e da un lato sono un po' stufo, dall'altro ormai reagisco in automatico e in fondo non mi costa tanta fatica: basta non pensarci, basta non riflettere su quanto questo sia profondamente ingiusto e umiliante e si va avanti.
Mi piacerebbe trovare uno slogan adatto: non possiamo dire: non chiudete il progetto Chance perché Bassolino ha già detto: "ghe penso mi"; non possiamo dire dateci i soldi perché hanno detto che ci sono milioni per noi; non possiamo dire "difendiamo i posti di lavoro" perché il posto ce lo abbiamo. Ma si può sapere allora cosa volete?
Quando mi incatenai c'erano i disoccupati organizzati che stazionano in permanenza sotto la Regione: mi chiedono: vuoi il lavoro? No! ; vuoi un sussidio? No! Vuoi una Casa, un progetto ......ed dopo tanti no non fecero più domande e scuotevano la testa come per dire: è matto. Si può dire che vogliamo solo fare bene il nostro lavoro, si può chiede solo rispetto, si può dire che vorremmo solo che la città si occupasse dei suoi figli in modo degno. Quale trattativa si potrebbe svolgere sulla dignità? Quale salario regionalmente differenziato serve per pagare il rispetto? Quale tangente sarebbe da riscuotere sotto banco?
In dodici anni di attività non siamo riusciti a farci capire; la nostra è la condizione del bambino che vorrebbe un po' giocare, un po' parlare, un po' stare solo vicino ai genitori, ma questi rispondono sempre offrendogli una cosa, rimpinzandolo, comprandogli oggetti e diventa sempre più evidente che gli oggetti servono solo per tacitarlo, per metterlo in condizione di non parlare, di non avanzare richieste che sarebbero invasive rispetto allo spazio che i genitori intendono riservare solo a se stessi.
Ci servono delle manifestazioni immateriali, slogan evanescenti che facciano da contrappeso alla politica delle cose, ai milioni di euro che si moltiplicano e demoltiplicano di ora in ora, ai progetti tanto più grandiosi quanto più si ha il segreto pensiero di non realizzarli. Se ci aiutate a pensare una cosa di questo genere, se riusciamo a creare un battito d'ali di farfalla sufficientemente leggero da farsi sentire da Pechino a New York allora avremo una cosa preziosa non barattabile con i milioni di euro che qualcuno tirerà fuori prima o poi, con un incarico di consulenza che prima o poi ti propongono, con un piccolo avanzamento di potere che prima o poi ti propongono in cambio del fatto che tu sia troppo occupato a goderti i vantaggi di queste cose da non aver tempo e voglia per pensieri che alleggeriti dell'oro possono insinuarsi dappertutto.
dunque ci serve un aiuto di questo tipo. Pensiamoci che prima o poi un'idea arriverà.
Grazie,  Cesare

Monete sonanti per il Progetto Chance

Siamo all’8 settembre di infausta memoria  e stiamo ripetendo per la dodicesima volta la stessa scena: le nomine dei docenti del progetto Chance sono rimandate di giorno in giorno.
Ma paga la Regione, stavolta non dovrebbero esserci problemi. E invece no. A quanto pare i rapporti tra Regione e Direzione Regionale sono ritornati al Gold Standard Exchange: ci si fida solo del’oro sonante.  Prima manca il decreto, quando c’è il decreto serve il mandato di pagamento, quando c’è il mandato di pagamento occorre verificare che il danaro sia arrivato in cassa.  Certo la Direzione Regionale ha sede nella zona orientale di Napoli che fino a qualche decina di anni fa godeva di un primato nazionale ed europeo delle cambiali in bianco: si comprava la roba a rate, la si rivendeva a sottocosto in contanti e poi non si pagavano le rate.  Questo sistema casereccio è poi stato stracciato dai titoli spazzatura americani basati esattamente sullo stesso principio.  Quindi il Direttore generale  è giustamente malfidato.
Bisogna ritornare all’oro e ai sistemi antichi: l’oste faceva cadere la moneta sul marmo per sentire se era sonante, se non era fessa dentro per qualche abile prelievo di oro, poi la piegava tra i denti per verificare che l’oro (perfino l’argento che è meno malleabile) fosse puro.  Appunto si dice danaro sonante, mentre di quello frusciante non c’è da fidarsi. Mi apprestavo scrivere una mail  per consigliare questo sistema quando ho trovato in internet una fotografia del Direttore Generale che con aria compiaciuta dava l’OK al Progetto Chance  davanti a una gigantesca moneta d’oro del peso di un quintale, fortunatamente garantita dal governo canadese. Quindi mi aspetto a breve le nostre nomine, anche se ho il dubbio che i rapporti tra due Istituzioni  importanti dello Stato forse non dovrebbero ispirarsi a quelli che c’erano tra l’oste di una stazione di posta e viandanti che avrebbe visto una sola volta nella vita.

sabato 5 settembre 2009

Quando il leone e la gazzella dormivano insieme

Nel titolo non c'è un errore, il verbo è all'imperfetto: un tempo il leone e la gazzella dormivano assieme,  perché gli uomini riuscivano a sognare questo sogno, poi le utopie si sono reificate e il verbo è passato al futuro.

Il leone e la gazzella dormiranno assieme; questa l’immagine di un mondo pacificato che ricorre  in molte varianti nei sogni utopici dell’uomo.  Anche questa utopia sembra a portata di mano: se guardiamo in internet o anche “paperissima” è pieno di ‘nemici’ che convivono  e si amano:  cani che allattano gatti, leoni che amano caprette, gatti che razzolano con i piccioni, un topo dormiente in un affettuoso abbraccio con un gatto, gatti che giocano con anatre. L’intensità di questi rapporti talora sfocia in piccoli drammi quando si trasforma in un improbabile corteggiamento amoroso.
Il più delle volte si tratta di animali che vivono in cattività e che da giovani, talora da orfani, hanno sperimentato la convivenza. Anche in caso di penuria di cibo mai viene rotta la fratellanza. Insomma persino tra quelli che non sono dotati di parola, esiste la possibilità che l’aggressività e la violenza siano ‘educate’.
Leggendo i due ottimi articoli di Marco Rossi Doria ed Enrico De Notaris  voglio aggiungere questa nota e questa domanda: quale è l’antagonista della violenza e dell’aggressività?
Presso le specie aggressive questo antagonista è il gioco sociale, ossia quelle attività in cui si usano i ferri del mestiere (artigli, zanne, unghie e quant’altro)  senza far male, creando un legame ed un riconoscimento reciproco. In molti casi queste attività assumono l’aspetto di un rituale, una sorta di danza in cui i movimenti dell’aggressione sono frenati e rielaborati. Persino il nostro sorriso sembra una evoluzione del mostrare i denti in segno di minaccia che diventa invece una rassicurazione circa il fatto che non intendo usarli contro di te. Sarà capitato a molti di giocare con gli artigli del gatto o con le zanne del cane e sappiamo che mai la stretta della mascella sarà eccessiva, mai le unghie saranno estratte del tutto. Ogni tanto capita qualche bestia che controlla male il meccanismo e ti fa male sul serio. Spesso questi incidenti accadono perché involontariamente abbiamo emesso segnali di aggressività vera.  Un altro inibitore della violenza sono i segnali di resa che hanno spesso l’aspetto di una posa infantile: ad esempio offrire il ventre molle può bloccare un morso e trasformarlo in una leccata di pulizia. (certo bisogna avere sangue freddo o perfetta incoscienza per fare questo).
Insomma la violenza è innata la pace si costruisce: anche in natura, anche senza parole.
E questo è il primo assioma da tener presente, se no scambiamo la mancata educazione per cattiva educazione. 
Nel mio primo giorno di scuola materna, un bambino di tre anni, aggredito – come di norma -  da un coetaneo riuscì a sgaiattolare nella scuola elementare per andare da suo zio - di anni 6 - a chiedere aiuto. Il commento di alcune mie colleghe fu “così piccolo e già camorrista”; anni dopo in un corso per docenti impegnati nella ‘lotta alla dispersione’ una delle osservazioni dei docenti che venivano per la prima volta a Barra era: mi ha impressionato che così giovani siano già così violenti; una docente coinvolta nell’accoglienza in un istituto tecnico, dopo la partecipazione ad un focus group molto crudo disse:  "ora che li ho conosciuti ne ho paura" e poi gridò: "io non sono come loro!!!"
Insomma chi ha subito o agito il processo di incivilimento considera il fare civile come la vera natura umana anzi l’unica natura umana (“fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” Dante) e considera quelli che non seguono le sue regole come altro da sé come fuori del consorzio umano.  Le radici della profonda  e universale tendenza espulsiva nei confronti del diverso sta nella separazione del bene e del male, dei buoni e dei cattivi che un tempo campeggiava sulle due metà della lavagna separate da una linea.  Bene e male sono profondamente diversi, non vanno confusi ma vivono nelle stessa casa e ogni tentativo di mettere fuori la ‘cattiveria’  rinsalda il suo stare con noi perché solo agendo con grande cattiveria possiamo buttarla fuori casa. Se non riconosciamo e accettiamo come umano, come nostro, anche ciò che ci ripugna e che rifiutiamo come modello di comportamento noi non siamo in grado di capire come disinnescare il meccanismo della violenza come creare antagonisti all’aggressività. Quel po’ di Freud che so mi dice che la lezione più grande  che ci ha lasciato è riconoscere che sotto le spoglie civili le emozioni elementari esistono e si fanno sentire, che il nostro compito non è negarle, ma riconoscerle e addomesticarle.
Il secondo assioma riguarda i modi dell’educazione: la convivenza si insegna attraverso la convivenza. Ogni conoscenza ha un suo specifico modo di essere e di essere trasmessa: la convivenza non si trasmette con il ragionamento ma con la partecipazione ad essa.
Le scene che riportano Marco ed Enrico sono le scene di partecipazione ad una realtà violenta che impone la sua legge a tutti e che bandisce chi non riesce a starci dentro.  Le reazioni a questa violenza sono simmetriche, dello stesso genere, sono tentativi espulsivi o tentativi di isolamento mai tentativi di integrazione, ossia di ricostituzione dell’intero, di una unità organica di convivenza.
A Scampia forse abitano più persone del ceto operaio e medio che non sottoproletari criminali però vivono in ‘parchi’ trincerati con guardie armate al cancello; a Ponticelli accanto al “Lotto zero” c’è il parco Vesuvio, un’oasi trincerata senza alcun rapporto col resto; a Barra tra Piazza Crocelle, i conglomerati di case nelle corti di corso Sirena,  da un lato e Rione Bisignano dall’altro  esiste una distanza sociale maggiore che tra Arenella e Posillipo; a San Giovanni tra rione Villa e le case dell’Intendenza di finanza, o via Bernardino Martirano, ci sono muri di separazione mentale più alti di quelli di Berlino. E potrei fare un elenco lunghissimo di separazioni che vivono dentro quartieri a loro volta separati dal resto della città.  L’acuirsi della violenza nasce da queste separazioni e le sta alimentando in modo esponenziale fino alla fuga dei ‘buoni’. Sono sempre di più i ragazzi che a scuola hanno paura di andare non per paura dei voti, non per  diffidenza verso i docenti o lo Stato,  ma per paura dei compagni  per paura che essi siano come li sentono descritti dai mass media e dalle leggende metropolitane  non avendone mai fatto esperienza diretta.  In una scuola dove mi sono occupato di accoglienza dei nuovi allievi, quasi tutti gli allievi hanno dichiarato che i compagni gli erano apparsi migliori di come si diceva: semplicemente era accaduto che avessero potuto parlare tra loro  in una discussione guidata prima di conoscersi attraverso aggressioni e scontri.
Dunque la scuola ha la sua parte come dice Marco.
Ha la sua parte perché subisce ed amplifica la segregazione sociale: in ogni quartiere ci sono scuole ‘bene e male’ spesso nello stesso edificio. Ci sono presidi e docenti che fanno pulizia etnica su basi non etniche. Il grido “bisogna far pulizia” eccheggia  nel parlottio della sala docenti (mai nel collegio per carità, li siamo tutti politicamente corretti):  pulizia dei cialtroni, degli scostumati, dei violenti, di quelli che non studiano, di quelli che aggrediscono.  In alcune prime medie dopo pochi giorni di scuola fioccano sospensioni a ripetizione e sospensioni di massa, finché la situazione non si ‘normalizza’.  In una scuola che conosco, dopo due mesi di scuola hanno accatastato i banchi vuoti in un angolo  giusto per avere più spazio e sancire  il non ritorno dei reprobi. Scene ancora più dure si ripetono al primo superiore.
E che fine fanno questi che le scuole bene in un modo o nell’altro hanno fatto fuori? Vanno alle scuole ‘male’ quelle dove “l’abbiente non è buono” (come dicono le signore acculturate della zona). Qui possono trovare docenti che li aiutano a crescere, ma più spesso una scuola allo sbando dove cambiano insegnanti in continuazione, dove  fuggono i docenti prima dei ragazzi, una situazione in cui spaccando il capello della cattiveria in quattro è sempre possibile trovare qualcuno più cattivo da buttar via. 
Quindi il rigore c’è, la ‘tolleranza zero’ c’è, gli adulti che fanno rispettare le regole pure, e però la produzione di sbandati cresce continuamente.
La scuola potrebbe fare di più o meglio? Certamente, ma il movimento di segregazione sociale è troppo forte e troppo esteso per le forze della scuola.  E’ necessario capire quale città vogliamo. Io mi sono estraniato da dibattiti riguardanti Bagnoli o la costa orientale, o altre  grandiose trasformazioni urbanistico-industriali. Sono scelte importanti e non indifferenti ma forse fuori della portata di molti di noi. In ogni caso a me molto di più interessa quale modello di convivenza proponiamo, qual gesti concreti facciamo perché la coabitazione nello stesso territorio si trasformi in una comunità dove si apprende la convivenza  attraverso la buona convivenza.  E coloro che si sono fatti portatori di  discorsi innovativi e democratici in nulla hanno lavorato a proporre con azioni concrete un modello di convivenza.  La democrazia e la legalità sono spesso pensieri ornamentali per gli abitanti dei campi trincerati, ma la democrazia antropologica, quella in cui la gazzella – senza timore – dorme insieme al leone, questa democrazia non abita a Napoli.
E la scuola, questo modello di scuola - non da oggi - non è attrezzata. L’aula scolastica è fatta per coltivare i rapporti verticali, per promuovere cooptazioni, per assimilare i barbari che imparano la lingua dei dominatori, ma non è fatta per sviluppare relazioni orizzontali, non è fatta per promuovere l’integrazione dei diversi.
Ci sono decine di migliaia di nobili ed efficaci tentativi di correggere questa attitudine della scuola tuttavia qui occorre mettere in discussione una ‘tecnologia’ che è intrinsecamente trasmissiva ed escludente al di la delle intenzioni e delle battaglie dei singoli.
I maestri di strada che Enrico De Notaris immagina siano presenti nelle strade di Napoli (“risparmiateci i maestri di strada che non si accorgono della presenza a Montesanto, ogni mattina, di una bambina in età scolare che accompagna il padre che chiede, in ginocchio, l’elemosina, e paradossalmente proprio davanti all’ex Provveditorato agli studi, in via Forno Vecchio..” Repubblica 31 gennaio 2006), sotto il profilo strutturale sono un grande bluff, sotto il profilo culturale sono - stante la cultura dominante in questo momento - una cisti senza futuro.
Noi abbiamo dimostrato che è possibile smontare la macchina che produce violenza,  che è possibile tessere legami nelle nostre degradate periferie, che è possibile creare spazi di convivenza nella città e spazi di pensiero  e di parola negli animi degli esclusi.  Ripeto una  delle mie tre richieste: ma c’è qualcuno che pensa di dover ripartire da questo livello, dal modo in cui si fanno crescere le nuove generazioni per rifondare la città, la convivenza e la politica. Se è così c’è uno spazio per i tanti che nella scuola e fuori della scuola, senza conoscersi,  mandano avanti il mondo, se no non c’è futuro.
“…un uomo che coltiva il giardino
il ceramista che intuisce una forma e un colore
chi è contento che esista la musica
chi preferisce che abbiano ragione gli altri
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo…”.
(Borges, citato da Enrico De Notaris)

mercoledì 2 settembre 2009

Bassolino al Foglio, Moreno a Bassolino

Il foglio 2/9/2009
Caro Sofri, vorrei rassicurare te e i lettori sulle questioni che hai sollevato nella nota pubblicata sul Foglio di venerdì scorso. Il progetto Chance è un’iniziativa di grande valore civile e sociale. E’ nata a Napoli su impulso del Comune (allora ero sindaco) del maestro Moreno e di tanti altri, operatori sociali, maestri di strada impegnati in prima linea nella formazione e nell’educazione dei ragazzi dei quartieri più disagiati della città. Da allora sono stati coinvolti in questa iniziativa 600 ragazzi, che hanno potuto partecipare a un normale percorso educativo e civile, ed essere così sottratti al rischio di,finire nella marginalità o nel giro della criminalità. Questo progetto divenne un modello che fu assunto dal ministro Turco in un’apposita legge, la 285: una delle leggi più avanzate a sostegno dell’infanzia e dell’educazione: E’ stato opportuno riprendere l’allarme lanciato dal maestro Moreno, che giustamente solleva il problema di un azzeramento dell’iniziativa per mancanza di fondi nazionali destinati al pagamento dei docenti. A te, Sofri, ai lettori, e soprattutto agli utenti di questo progetto, dico che non solo continueremo a garantire i finanziamenti necessari, allo svolgimento delle attività, come abbiamo fatto per gli anni passati, me che assicureremo le risorse necessarie anche per i docenti.
Grazie per l’attenzione,Antonio Bassolino, 
presidente della regione Campania

Caro Presidente,
leggo ora il tuo comunicato circa il destini del progetto Chance. Ne prendo atto e ti ringrazio. Soprattutto condivido il tuo riferimento agli utenti finali che sono quelli per cui chi  scrive e tanti altri sono preoccupati.
Non è questa la sede per entrare in problemi tecnici, però devo dirti che come è accaduto l'anno scorso io devo stare, non dico sul piede di guerra, ma all'erta perché tra la decisione politica e i fatti operativi corre uno scarto troppo grosso.
Devo anche rilevare che mi sembra un po' grossa che la direzione Regionale ci abbia fatto sapere solo il 20 luglio che non era più disponibile a metterci i docenti e mi sembra altrettanto grossa che un accordo interistituzionale che ha visto da parte vostra la spesa di 1,3 milioni di euro  sia stracciato in questo modo, Su molti punti la partita con la direzione scolastica  è ancora molto aperta ed occorre tutta la vostra attenzione e vigilanza oltre alla mia personale, E sottolineo la mia, perché i miei colleghi sono nelle loro scuole a fare altro in attesa della chiamata a Chance. Io come ogni anno mi metto in aspettativa e cerco di tenere in piedi quello che si può.
Ti ringrazio ancora e saluto cordialmente
Cesare Moreno

martedì 1 settembre 2009

Da 1° settembre il progetto Chance non ha docenti, non ha coordinamento

Da 1° settembre il progetto Chance non ha docenti,
non ha coordinamento, le attività proseguono con il solo
contributo degli educatori e degli esperti professionali.
Volevo spedire questo prima della mezzanotte di oggi, ma una volta tanto la stanchezza ha vinto. Lo spediscono stamattina, tanto è comunque di attualità.
Inserisco il link ad un po' di fotografie sul progetto
http://www.facebook.com/album.php?aid=5663&id=100000078560125&l=f0202450d3

L’importanza delle illusioni
Una volta, avevo intorno ai 45 anni, scalai lo Stelvio in bicicletta  36 tornanti e un dislivello di 1500 metri in 19 chilometri, una bicicletta con soli 5 rapporti. Una fatica che mi ero ripromesso di compiere senza mettere piede a terra. In ogni tornante  pensavo di smettere e poi guardavo un metro avanti e pensavo che grazie all'inclinazione parabolica potevo riposarmi una pedalata salvo a farne una più pesante dopo, ma quell'attimo di respiro, quella illusione mi spingeva avanti e così non dico per 36 tornanti ma per almeno 25  quell'illusione è stata importante. Dopo un'ora 55 minuti giunsi ai 2700 metri del passo. (penso che sia un record perché ad andare più piano la bicicletta non sta in equilibrio).
Tutto questo per dire che le illusioni sono importanti, servono a darsi una ragione per i prossimi cinque minuti quando non si crede più al futuro neppure quello  a due ore. 
Quindi mi ero illuso, ho fatto tutto come se dovesse essere vero, che il 1° settembre noi docenti di Chance potevamo metterci a fare il nostro lavoro: così ho compilato l'elenco dei docenti, l'ho protocollato, l'ho inviato al preside  con la richiesta di inoltrarlo al Direttore del MIUR e al coordinatore regionale dell'area orientamento formazione etc...
L'elenco naturalmente non è stato ricevuto; sapevo che è così ed è giusto così, ma in assenza di indicazioni con un comportamento  irrituale ho almeno provocato una risposta: il soggetto deputato a trasmetterlo è l'Assessore regionale che riprende servizio il 3; si sapeva già che dopo la parabola viene un altro tornante. Ma se non facevo questa mossa neppure mi dicevano quale procedura seguire. Ora l'illusione riguarda il tornante del 3: qualcuno pensa che l'assessore appena rientra possa dedicarsi a Chance quando avrà almeno altre cento cose dello stesso o maggiore rilievo. Manca solo la richiesta con i nomi e cognomi, il decreto che stanzia i soldi è stato già fatto, il trasferimento dei fondi regionali nelle casse del MIUR ordinato. Quindi aspetteremo ancora qualche giorno e di giorno in giorno si alimenta un'altra illusione: la prossima illusione, la linea del Piave - sistematicamente sfondata - è il 16 settembre. La condizioni infantile della dipendenza mi richiama alla mente la canzone ‘fammi crescere i denti davanti, te ne prego bambino Gesù’:  “non farmi andare in classe a illudere un gruppo di studenti a cui magari risulto simpatico/a e promettente” te ne prego Bambino Gesù ( o è meglio San Gennaro?). E poi un altro e  poi un altro tornante. E' così da undici anni e questa è la dodicesima volta che si ripete la stessa scena. Alla fine avremo le nomine, ma quando e con quale freschezza cominceremo il nuovo anno?
Questa è quella che chiamiamo 'morte per consunzione' per esaurimento, sfinimento. 
Ma il nostro motto è resistere un minuto in più di... di tutti gli altri. Resisteremo, ma sempre più pochi.
Domani mattina, qualsiasi cosa io o tu facciamo,  il nostro progetto - così come ogni anno - non esiste, non ha un gruppo di coordinamento, non ha  un punto di riferimento. Poi forse come un melone in un terreno desertico, rispunterà fuori dopo una grande pioggia.
Quest'anno però c'è una simpatica novità: non esiste più neppure la nostra scuola di riferimento: IPIA Sannino viene accorpato con IPIA Petriccione, quindi per un po’ d tempo non esisterà bilancio, consiglio di istituto etc. i soldi del Progetto Chance saranno fermi in cassa e nessuna decisione ordinaria potrà essere presa.
Anche questo si sapeva da prima ed è per questo che ci vorrebbe qualcuno dotato di autorità che pianifichi le cose ( quel manager  o direttore che a qualcuno non piace) in assenza di questo chi scrive, - in modo abusivo come dal primo anno -  pensa pianificare le cose in modo da scavalcare la risacca: gli esperti hanno già il contratto, con i coordnatori ha lavorato in agosto per pianificare le cose, ha preparato il terreno per ulteriori sviluppi; e poi per tutto settembre lavorerà abusivamente. Come sempre.  Dunque fino al 15 ottobre educatori, coordinatori ed esperti insieme ai nostri allievi continueranno a far vivere il progetto chance e in quella data ci sarà una solenne chiusura di questo 'progetto continuità ed orientamento' su cui contiamo molto per portare il progetto a essere parte di un sistema territoriale di interventi. Se in quella data saremo riusciti a definire  un nuovo assetto annunceremo anche la prosecuzione del progetto Chance se no inviteremo i ragazzi ad iscriversi ad un’altra scuola. Immaginiamo che in quella data possano anche convocarsi le numerose persone che sentono come  propria questa nostra piccola battaglia, per farsi sentire e fa sentire alle autorità la portata della posta in gioco.
Se ci sarà da festeggiare lo faremo, se ci sarà da battagliare pure. In ogni caso sarà una prima occasione per verificare  il sostegno al progetto non tanto da parte di quelli passionalmente d’accordo con noi (anche questo serve) ma soprattutto da parte di chi essendo più o meno del mestiere è in grado di valutare e riproporre  una vera generalizzazione del progetto,

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Napoli, NA, Italy
Maestro elementare, da undici anni coordina il Progetto Chance per il recupero della dispersione scolastica; è Presidente della ONLUS Maestri di Strada ed in questa veste ha promosso e realizzato numerosi progetti educativi rivolti a giovani emarginati.