martedì 24 novembre 2009

Il Progetto Chance in dodici scuole

Venerdì 20 novembre 2009

Approvata la delibera regionale che trasforma il Progetto Chance in una risorsa ordinaria per 12 scuole

io non so se questa delibera sia veramente passata, può darsi che a causa di qualche correzione debba ritornare all'approvazione, ma ho preferito comportarmi come se fosse stata già approvata. 
In quello stesso giorno c'era il convegno 
Civitas Educationis-Interrogazioni e sfide pedagogiche, 
promosso dalla decana della pedagogia generale Elisa Frauenfelder, presenti i cattedratici di una decina delle principali università italiane. Si parlava in qualche modo di ruolo civile dell'educazione e mi è sembrata una occasione troppo ghiotta per non parlare di Chance. Nottetempo quindi ho scritto quanto segue e al mattino di sabato, mentre Pirozzi elaborava la sua nota, ho diffuso - volantinando come ai bei tempi - questo manifesto in 50 copie. Io credo che qui sia contenuta una risposta implicita alle molte questioni poste da Pirozzi, ma soprattutto credo che nella maniera più diretta, più semplice e lineare sia esposto quale è il problema attuale, che non riguarda Chance, ma - insisto - le basi su cui è fondata la nostra convivenza civile. Vorrei che ci attenessimo a questo punto elementare: tutto il resto sono accidenti, vicoli laterali in cui non intendo perdere nè me stesso nè quelli che sono capaci di intendere di cosa stiamo parlando.


Cosa può essere il progetto Chance per la scuola e per la società

Comunicazione per i partecipanti a "Civitas Educationis"

Il Progetto Chance ha rappresentato per undici anni un progetto di nuova cittadinanza fondato su giovani altrimenti esclusi. 
La portata generale del progetto deriva dal suo collocarsi in un punto strategico dello sviluppo di una società, quello in cui i giovani cittadini fanno il loro ingresso nell’ordine sociale esistente. In questo punto che appartiene insieme all’ordine dello spazio sociale e all’ordine dello spazio mentale di una civiltà, si realizza un incontro tra una configurazione sociale esistente e una nuova forma da realizzare insieme ai nuovi venuti. In questo punto si decide se una società è capace di crescere o semplicemente di includere, assimilare, digerire il nuovo, ingrassando senza crescere. 
Le periferie sociali, le periferie geografiche, le periferie dell’animo hanno un tratto comune: la capacità di mettere in discussione il patto sociale preesistente, la certezza dei fondamenti, la sicurezza dei ruoli sociali. 

I barbari alle porte 

C’è un modo di trattare coloro che premono sui confini della società che è epistemologicamente escludente: quelli di fuori sono ‘barbari’ non parlano la nostra lingua, non condividono il nostro episteme, la nostra weltenshaung, possono diventare dei ‘nostri’ a patto che imparino prima la nostra lingua.
L’educazione, e prima di questa la scuola che insegna a scrivere leggere e far di conto, rappresenta da questo punto di vista una porta di ingresso nel sociale, l’occasione in cui i sogni privati di milioni di famiglie possono diventare un progetto di trasformazione e crescita sociale.
 
Oppure no, la scuola può avere il ruolo delle forche caudine, una porta al cui passaggio è necessario abbassare il capo, essere umanamente umiliati per essere portati in società come prede piuttosto che come cittadini sovrani. Le pratiche educative che non siano anche pratiche di libertà, di cittadinanza immediata (non rimandata sine die), di creatività – libera invenzione di sé – non sono pratiche che allargano i confini della società, ma pratiche che pretendono di far passare il canapo nella cruna dell’ago. 

Milioni di giovani vivono la scuola in questo modo. I primi sono proprio quelli per i quali la scuola può vantare il ‘successo formativo’, il successo di una operazione di assimilazione che assume troppo spesso i contorni del conformismo, della sudditanza, della omologazione che generano sofferenza e disagio a cui i giovani stessi non possono che dare risposte stereotipe, conformi a un modello sociale che li ha privati della capacità di reinventarsi. Gli ultimi che vivono male la scuola sono quelli presso cui la scuola non può vantare alcun successo, quelli che sono restati fuori, i drop out, gli emarginati.

Secondo il punto di vista che stiamo proponendo questi ultimi potrebbero vantare la ‘purezza’, una sorta di selvaggia estraneità al conformismo sociale che ne farebbe addirittura dei soggetti umani privilegiati. Non sono mancati e non mancano i tentativi di privilegiare romanticamente gli ultimi come potenziali liberatori del mondo, quelli in grado di capovolgere il mondo ed aprirlo a una radiosa alba di fratellanza universale. Non mancano mai quelli che si fanno sedurre dal primitivismo, che sono ammaliati dagli ultimi e soffrono di un male nostalgico del primitivo molto simile al “mal d’Africa”.

Ma le cose dell’animo e della società non seguono mai i canali di una meccanica sociale lineare quanto una meccanica celeste pre-relativistica. Gli ultimi in una società della comunicazione, non sono affatto puri, non sono affatto liberi e assorbono l’episteme semplificata dell’avere che chiude alla complessità dell’essere. E l’insuccesso scolastico e formativo non apre a un mondo libero dalla schiavitù dei bisogni indotti, ma suggella col marchio dell’esclusione l’impossibilità di essere cittadino attivo insieme alla possibilità di essere un consumatore compulsivo di quanto il mercato offre e di quanto l’individuo può possedere con mezzi leciti o illeciti.

Rifondando città

C’è un altro modo di trattare coloro che sono ai confini che è intrinsecamente accogliente: dovete entrare perché insieme dobbiamo riscrivere le regole, dobbiamo costruire insieme un cerchio più largo, non dobbiamo fare spazio a nuovi cittadini ma costruire insieme nuova cittadinanza.
 Dunque il Progetto Chance occupandosi degli ultimi e degli esclusi non si è occupato di riammettere al banchetto dei consumi indotti quelli che non avevano i mezzi per farlo, ma si è occupato di restituire a giovani invasi insieme dal dolore e dalla coazione a ripetere il potere della parola e del pensiero. 
Dunque da questo punto di osservazione ha potuto avere un punto di vista privilegiato su quel crogiuolo dove al calor bianco si rifonda una società, osservare da vicino i processi psichici, i modi di socializzazione che consentono a ciascuno di riprendere in mano il proprio destino, di passare dalla condizione di etero direzione a quella di autonomia, da quella di anomia sociale a quella di sociatività, centri attivi di promozione di legami e di convivenza. 
Per realizzare questo obiettivo il Progetto Chance non ha usato una logica rivoluzionaria o una pedagogia alternativa. Non ha cercato di “capovolgere” le regole, né ha cercato un altrove pedagogico dove sperimentare nuove alchimie. Ha scelto di operare nei luoghi stessi dell’emarginazione, ha scelto di abitare i ghetti della città e dell’animo, di condividere l’esperienza degli ultimi per rielaborarla insieme a loro, per essere guide sicure ad uscire dai ghetti sociali e dalle prigioni dell’animo. Riuscire a utilizzare il pensiero e la parola in situazioni estreme, riuscire a mantenere il senso dell’impresa educativa quando il mondo intero ti crolla intorno, quando la violenza delle armi e la violenza dei consumi indotti svalutano continuamente la persona e la parola è la lezione di vita che noi abbiamo cercato di offrire ai nostri allievi, quella che ci rende stimabili ai loro occhi e legittimati a parlare. 
Maestri di strada quindi, maestri che insegnano la strada, guide per uscire fuori, per educarsi. 

Maestri che parlano nell’agorà, al mercato, come faceva Socrate che in piazza rispondeva a questioni di vita e di morte, rifletteva in pubblico sulla legittimità della vendetta di sangue e sulla necessità della legge. E per queste sue risposte, date fuori dal chiuso dell’accademia, fu condannato a morte. 

Oggi alle persone non viene offerta la cicuta ma esistono infiniti modi per intossicarsi, per uccidersi in senso professionale e pedagogico. A volte basta solo respirare a lungo un’atmosfera satura di veleni per restarci secchi. Dunque la nostra esistenza come educatori è ogni giorno a rischio e senza questo quotidiano rischio non saremmo veri educatori. Dunque dobbiamo essere felici di vivere nel rischio ma al tempo stesso sappiamo che è nostro dovere sopravvivere, dimostrare che sfidando il rischio è possibile crescere.

In questi undici anni l’esistenza Chance è stata sistematicamente esposta a letture svalutanti ed avvelenate: è un progetto di recupero sociale, si occupa di disgraziati senza speranza, meno male che ci sono, che sono così masochisticamente eroici, chissà quale colpa stanno espiando 
(Rulli e Petraglia sceneggiatori de O’Professore – sceneggiato Mediaset che oscenamente pretende di rappresentare i maestri di strada - hanno dato corpo a questo fantasma: o’Professore è un sessantottino assassino che espia la sua colpa dedicandosi – in modo paternalista e collusivo – ai figli di quelli che erano i suoi nemici di un tempo). 
Anzi i ‘maestri di strada’ in questa logica rispondono a un bisogno sociale di riparazione, una seconda occasione che non è data ai ragazzi ma ad una formazione sociale per riparare ferite che ha in precedenza inferto. E visti in questo modo siamo anche i testimoni di un delitto che i più vorrebbero occultare. Sulla base di questa emozione siamo stati tenuti ai margini, forse anche protetti, ma allo stesso modo in cui lo fanno i programmi di protezione per i testimoni scomodi: comunque vivi una vita nascosta. 

Una falla nel sistema di pensiero

Oppure siamo stati vissuti come se fossimo responsabili di una falla del sistema di pensiero in tutto analoga al “teorema di incompletezza” della matematica, una stranezza come l’esistenza dei numeri primi. La più perfetta delle scienze ha alla base una aporìa: esistono affermazioni vere non derivabili dagli assiomi; come dire che gli assiomi sono sempre incompleti, che esistono dei numeri primi che sfuggono alla regolarità delle serie. Un pensiero del genere leva il sonno a tutti i sistemisti (volevo dire proprio così), a quelli che hanno bisogno di un sistema che come pietra filosofale trasforma ogni problema in una eventualità prevedibile sulla base degli assiomi condivisi. Il fango trasmutato in oro. 

“Perdete tempo, il vero problema è la prevenzione, è fare le cose rispettando gli assiomi pedagogici giusti e tutto andrà a posto in automatico” (e questo è il motivo ideologico per cui ministri e sottosegretari di sinistra sono stati incapaci di dare un assetto istituzionale al progetto). 
Dunque il progetto Chance ha costituito una irregolarità epistemica disturbante e come tale rigettata in periferia, stigmatizzata non per motivi socio-politici, ma per incompatibilità filosofica.

Qualsiasi sia il punto di vista siamo stati periferici, marginali, esclusi dalle pratiche ordinariamente praticabili. 

Professionisti riflessivi

Sennonché siccome sappiamo parlare e scrivere, siccome abbiamo fatto della professionalità riflessiva una bandiera del progetto, in questi anni ci siamo procurati molti amici, molti dei quali presenti in questa sala che, forse per sano istinto da educatori, forse per simpatia umana, ci hanno ascoltato e seguito e spesso ci hanno aiutato a inquadrare le nostre pratiche in modelli teorici e tendenze riconoscibili dalla comunità scientifica. Se il progetto ha resistito per undici anni molto è dovuto al modo in cui l’accademia in vari modi ci ha sostenuto. 

Ieri, venerdì 20 novembre 2009, mentre si svolgeva la prima giornata di questo convegno, mentre cadeva il 20° anniversario della dichiarazione dei diritti dell’infanzia, è stato approvato il primo atto ufficiale che rende il Progetto Chance una risorsa in qualche modo ordinaria incorporandola in dodici scuole di Napoli e della Provincia situate in zone strategiche dell’esclusione. 
Si tratta di una felice coincidenza. Ma il fatto che si tratti di una coincidenza e non di un appuntamento segnala un problema. 
Nel momento in cui il progetto grazie alla Regione Campania (ma orfano dei precedenti apporti del Comune di Napoli, del MIUR e di altre istituzioni che facevano parte dell’accordo di programma del 1998) diventa ‘normale’ può diventare oggetto di una normalizzazione (ricordate la normalizzazione dei carri armati a Praga?) – involontaria o vendicativa – che ne distrugge la carica trasformativa, le potenzialità di crescita per l’intera scuola. 
Noi siamo convinti che il Progetto Chance possa aiutare una riflessione generale sulle pratiche educative per la cittadinanza che deve coinvolgere la scuola e non solo la scuola, e chiediamo a quelli di voi che potranno farlo un aiuto a mantenere questo senso al progetto. Un aiuto che per tutto quello che si è detto deve essere soprattutto un aiuto di pensiero, un contributo a convalidare un modello di lavoro sulla base di osservazioni, riflessioni, prove. E’ giunto il momento di trasformare la solidarietà umana in prese di posizione basate sui principi pedagogici (che sono quelli che stanno circolando in questa sala) che devono governare la trasformazione istituzionale di questo progetto. 

Un progetto che esalta le pratiche umili ma ricco di dettagli importanti


Chance, come si ripete, non ha da rivendicare alcuna originalità, primogenitura pedagogica o didattica, ma ha da rivendicare con orgoglio la determinazione e la coerenza con cui ha valorizzato le pratiche umili, i dettagli per altri insignificanti. 
Il progetto Chance è stato e deve restare un progetto di cura – della giovane persona in crescita, delle persone che si impegnano al loro fianco – in cui le relazioni primarie fondanti della convivenza sono coltivate fuori dai sentimentalismi e dalle retoriche con un solido impianto organizzativo che consente di gestire la complessità, conservando e valorizzando le risorse umane e professionali. Questa  resta la principale forza del progetto e la sua possibilità – chance - di influire sulla trasformazione di tutte le pratiche educative.
Quello che ci auguriamo è di poter valorizzare questo patrimonio che rischia – principalmente per le debolezze umane da cui tutti siamo affetti – di naufragare in una navigazione che si fa molto più complessa.

Nelle prossime settimane, via mail, diffondiamo un documento di sintesi riguardante le pratiche educative di cittadinanza ispirate al progetto Chance, e speriamo di poter sottoscrivere, con un gruppo di studiosi di varia provenienza disciplinare, un atto di indirizzo riguardante i punti fondanti di queste e su questa base costituire una sorta di osservatorio scientifico permanente che contribuisca alla tenuta pedagogica di questa nuova sfida.


Cesare Moreno

Presidente Associazione Maestri di Strada – ONLUS


Mail: maestridistrada@gmail.com

giovedì 19 novembre 2009

Ho ricevuto una lettera dal futuro

Per motivi tecnici, ma soprattutto per applicare a qualcosa di stupido una mente che non riesce a starsene  a riposo e in attesa, sto riordinando le migliaia di file che affollano il mio computer. Ho ritrovato per caso la lettera aperta che portai con me al primo seminario di formazione, quello che doveva fondare Chance prima ancora che ci fossero le nomine del provveditore e finanziamenti del Comune. E sono stato sorpreso del fatto che non cambierei una virgola quello che c'era scritto, che avevo, come ho, molto chiara la finalità di questo progetto, i mezzi per realizzarlo, ciò che è peculiare del progetto e ciò che non lo è.
A distanza di 11 anni, data la situazione di incertezza e di totale messa in discussione del nostro lavoro, questa lettera mi pare giungere dal futuro, mi piacerebbe poter arrivare a scrivere e pronunciare quelle stesse parole con la stessa speranza. Tra poche ore abbiamo un incontro dove ci verrà comunicato qualcosa che deriva dai vertici dell'ufficio scolastico regionale. Non mi aspetto niente di buono ed è comunque molto triste dover partecipare ad una riunione senza sapere ordine del giorno, senza sapere ancora nulla di quale sarà il nostro ruolo reale;  siamo in una situazione di sudditanza psicologica che ci fa temere la voce del comando anche quando magari ci dice cose buone. Di tutte le cose che si potevano temere e si dovevano temere, questa è la più devastante e ci dice quanto siamo deboli di fronte all'arbitrio, all'assenza di regole, all'inesistenza di garanzie, di istanze di appello. Fin dal secondo anno di attività di Chance abbiamo cercato di portare la metodologia, che qui viene molto semplicemente enunciata, al centro del sistema scolastico quando tutto congiurava a tenerla ai margini. Ed in questi anni sono state assordanti le voci che dicevano: attenti, l'istitutzione vi imbavaglia, vi irrigidisce, insomma si temeva una perdita di libertòe e di creatività derivante da 'lacci e lacciuoli'.  Sono stato sempre polemico verso questo atteggiamento perchè la creatività  e la libertà si espriemono attraveso i vincoli e non al di fuori di essi, ma soprattutto perché i progetti hanno senso se servono ad aprire una strada. Troppi progetti devono invece soddisfare il narcisismo di chi li realizza,  l'indice di gradimento di chi li promuove, ho sempre sostenuto di essere troppo ambizioso e troppo narcisista per accontentarmi di un progetto marginale.  Fin dall'anno 2000 abbiamo lavorato con Marco per farci riconoscere lo statuto di progetto apripista, ma - erano ministri Berlinguer, la Turco e poi DeMAuro  c'è stata semre una gigantesca riserva culturale ma soprattutto una incapacità a capire che ciò che uccide la scuola è l'uniformità.  Berlinguer con il suo 'la scuola di tutti è la scuola di ciascuno' aveva trovato  lo slogan giusto, ma tra lo slogan e le pratiche reali c'era e c'è un abisso.  Dunque noi nn siam riusciti. Il 27 settembre 2000 la montagna partorì il topolin:un protocolo di intesa tra MPI e Affari sociali in cui si diceva di voler sostenere i progetti di inclusione sociale come Chane.  Sembra che quella sia stata l'unica intesa tra i due grandi ministeri che si occupavano di giovani. A detta del sottobosco ministeriale altre intese non c'erano state perche tra i due ministri c'era incompatibiltità di carattere (sic!) .  Chi assisteva a queste scene sapeva che la sedicente sinistra si stava scavando la fossa, perché schiava degli stessi difetti che per anni aveva rimproverato alla DC: logiche settoriali, assenza di strategie, il mercato delle quote in luogo della mediazione politica e culturale.
Della concretezza di questi sforzi di portare Chance nell'ordinario ci sono innumerevoli e concrete tetsimonianze. Tuttavia abbiamo fallito. Dopo anni, nel gennaio 2007 è nato un nuovo topolino: il codice meccanografico che riconosceva la nostra esistenza come scuola, o quasi scuola, infatti si tratta di un codice non esprimibile nei trasferimeti, e tuttvia un atto di nascita in iena regola.
NARI160019 Sezione Sperimentale per il recupero dell’Obbligo Scolastico – Sezione Associata di NARI160008 IPIA "Sannino"  Via Camillo De Meis N.243 NAPOLI - PONTICELLI 

NAMM819024 Sezione Sperimentale per il recupero dell’Obbligo Scolastico – Sezione Associata di NAIC819002 Istituto Comprensivo Baracca - NAPOLI – Vico Tiratoio N.25 

"Presso una o più istituzioni scolastiche (una per ciascuna grado di istruzione obbligatoria) viene istituita una sezione (di indirizzo, per il II grado, di particolare finalità per la primaria e la scuola di I grado) cui è attribuito un codice informatico alfanumerico diverso da quello dell'istituto principale, ma ad esso riconducibile. Sulla "sezione di progetto" non viene sviluppato organico con procedura automatizzata; l'organico è autonomamente determinato dal dirigente scolastico, di concerto con la rete in cui è inserito, e sotto la vigilanza dell'USR. Sulla "sezione di progetto" non viene sviluppata mobilità nel senso che il codice attribuito è opportunamente "sterilizzato" con l' apposizione della caratterizzazione "Codice non esprimibile dal personale docente ed A.T.A.".
Doveva essere il primo passo di una tasformazone istituzionale, ma nessuno degli attori isitituzionali ha mosso un dito per passare dal codice all'esistenza concreta: a distanza di un anno il Comune ci ha mollato in malo modo e poi tutto quello che ne segue ancora.
Tuttavia sono convinto che la responsabilità principale per questa mancata trasformazione sia provenuta dal nostro interno.
 Per anni siamo stati assordati da voci che dicevano che entrare nell'istituzione era pericoloso (come se fossimo stati un gruppetto di volontari e non stipendiati del Ministero!!!)  perché saremmo stati irregimentati. Ed io soprattutto rispondevo che non avevo nessuna paura, che ero già stato nelle stanze del ministero, in quelle dei vertici del provveditorato, in quelle dei vertici comunali e poi anche in quelle regionali e che nessuno mi aveva potuto mettere il guinzaglio, anzi, ne avevo tratto maggiore forza e determinazione. Dunque non dovevamo temere l'altro ma soprattutto noi stessi, la nostra debolezza e difficoltà a tenere una precisa rotta.
Ora siamo arrivati all'appuntamento nelle condizioni peggiori, e stiamo vedendo che il pericolo maggiore non è il guinzaglio ma l'assenza di redini; che il pericolo non sono le carte e le regole ma la loro assenza. Da sempre l'unica vera forza del potere è l'arbitrio e ridurre le persone in stato di sudditanza grazie alla imprevedibilità  dei comportamenti. Visto che usiamo da sempre la metafora della nave ho ricordato ai miei colleghi che una delle situazioni più angoscianti per i marinai all'epoca dei velieri - e magistralmente descritta da Konrad - non è la tempesta ma la calma piatta che rende impossibile ogni azione.
Oggi siamo arrivati all'appuntamento privati persino della testimonianza e del ricordo di una estenuante battaglia condotta e  ci viene ogni giorno rinfacciata come colpa una sconfitta determinata da quegli stessi che ce la rimproverano (vae victis! gridava il barbaro, guai ai vinti: oltre alla sconfitta dovranno subire l'umiliazione): il progetto Chance è fuori della norma, deve essere normalizzato. E dietro il mancato riconoscimento di Chance c'è una cosa molto più grave: l'estraneità e il disconoscimento di un intero continente di esclusi, delle migliaia di giovani che stanno abbandonando la scuola, che perdono il desiderio di crescere e diventare padroni di sé.
In questi anni siamo stati i testimoni scomodi e parlanti di un innominabile ed oscuro delitto commesso contro migliaia di giovani con le modalità dell'esclusione, del lento confinamento in spazi dove non si respira. E siamo stati trattati come loro, confinati nelle aule più malandate, nei sottoscala, a chiedere l'elemosina di uno spazio, a chiedere se per favore potevamo stare nei laboratori, circondati da un'aura di sospetto, incolpati di qualsiasi anomalia si verificasse, tenuti a distanza. Qualsiasi nostra richiesta bollata come ingiusto privilegio: cosa hanno fatto i vostri ragazzi per meritarsi  una merendina! Questo il grido di dolore che si levava dall'Italia degli assessori, delle persone perbene che stanno bene perché se lo meritano. E noi, nonostante fossimo avvocati di ufficio, obbligati ( dalla coscienza e dal civismo) a fare quello che abbiamo fatto e non assoldati per farlo, siamo stati trattati allo spesso modo: come persone che chiedono l'ingiusto privilegio di stare con gli ultimi. Sui nostri decreti di utilizzazione ci sono scritte parole che bruciano: distacco o esonero dall'insegnamento, come un qualsiasi sindacalista, come un qualsiasi portaborse della camera dei deputati, come qualsiasi assessore dell'ultimo paesino che briga per  poter essere esonerato e dedicarsi ai propri elettori.  E anche su questo facciamo a non capirci: queste parole sono scritte senza malizia, senza una intenzione. Bravi! ma è in discussione proprio questo: in dodici anni non si è trovato il modo di adottare una procedura diversa che pure era possibile, allora quelle parole  anche se scritte da un funzionario innocente non sono innocenti e bruciano talmente che alla fine con un tratto di penna sono state eliminate le parole e con loro la funzione importante svolta dalle persone che attraverso quelle parole venivano attivate. "il distacco" è una procedura talmente eccezionale che può essere  esclusa in qualsiasi momento, ed era questo il motivo della nostra battaglia.
Ora ai signori che desiderano normalizzare Chance si presenta questo quadro: la Regione Campania spenderà oltre due milioni di euro per offrire ad alcune centinaia di ragazzi il diritto costituzionale alla scuola, perché  quella prevista per loro e che tutta la pedagogia e la costituzione dice che dovrebbe confrontarsi con la loro individualità e con i bisogni educativi di ciascuno non ha nè i mezzi materiali nè le risorse professionali per poterlo fare. ed in queste circostanze,  da qualche parte, ci sono i loro insegnanti pagati dallo Stato per assolvere al dovere costituzionale di dare la scuola a tutti i cittadini. Ora in una situazione di danno già realizzato, di ferite già inferte ed autoinferte alla persona, si giustifica una integrazione delle risorse e non una sostituzione totale delle stesse. In questo modo si allontana e non si avvicina la possibilità di portare una metodologia al centro dell'attenzione pedagogica e l'esistenza del progetto si fa ancora più precaria.
Dunque dopo dodici anni, quelle parole che davano il là al progetto nel 1998 mi sembrano una meta quasi irraggiungibile e tuttavia  non mi sono ancora arreso ed auguro a me stesso di raggiungere oggi come traguardo quella che dodici anni fa era la linea di partenza: vuol dire che questa volta faremo la 'partenza volante' .

Una lettera dal futuro


Lettera aperta sul progetto CHANCE!

Cesare Moreno per  il primo seminario di formazione 3 luglio 1998
Il progetto Chance costituisce il primo tentativo di realizzare  in una realtà difficile e complessa alcuni principi educativi ed organizzativi  ormai da tempo considerati  fondamentali.
Ci sono termini che diventano rapidamente di moda come rete, sinergie, integrazione  e si consumano ancor prima che la cosa cui si riferiscono sia realizzata.  In questo caso l’impegno che ci stiamo assumendo riguarda proprio la realizzazione di qualcosa di cui da troppo tempo si parla, senza che ci siano mezzi, regole e persone adeguate a realizzarla. Questa volta ci sono tutte le condizioni  e possiamo occuparci del problema reale e non degli impedimenti ad affrontarlo.
Il problema é molto semplice e perciò anche colossale:  é possibile che il mondo adulto, che noi in qualche modo rappresentiamo, possa avere  qualcosa da dire e da insegnare a ragazzi  che per molti motivi hanno già maturato sfiducia ed estraneità rispetto alle istituzioni  e alle persone al punto da aver abbandonato la scuola e di vivere una vita marginale?
La questione va molto oltre il problema scolastico e pone una quantità di interrogativi riguardanti  il nostro modo di vivere, in nostro modo di rapportarci con le generazioni.
Le vie attraverso cui si stabilisce una continuità ed una interazione positiva e creativa tra le generazioni sono per molti versi misteriose. La scuola é uno dei luoghi attraverso cui passano tali misteriose vie e la crisi di questo luogo finisce per essere una spia di una difficoltà di relazione più generale. Il problema é troppo importante per lasciarlo ai soli insegnanti. Ma gli insegnanti sono anche uomini concreti in questo mondo, sono parte non solo professionale della complessa relazione che lega le generazioni.
Troppe volte il nostro lavoro, per motivi insieme complessi e banali, ci impedisce di portare  nell’insegnamento in modo pieno, consapevole e pregnante il nostro essere uomini. Il didattichese ed i linguaggi specialistici sono i segni distintivi di un habitus che finisce per essere corazza estraniante nei confronti dell’altro. Chance si chiama questo progetto e in origine intendeva offrire una Chance a ragazzi in condizioni difficili, in realtà é una Chance eccezionale che si offre ad un gruppo di persone di cimentarsi  con il problema dell’educazione come uomini piuttosto che come ‘impiegati statali’.
Sotto questo aspetto esprimo una gratitudine profonda e sentita a quanti hanno consentito  avviare questo progetto, e metto al primo posto le diverse autorità responsabili  perché hanno saputo dare fiducia  ad un progetto difficile  mobilitando le risorse giuste nel modo giusto. Purtroppo anche nelle relazioni tra le istituzioni e i cittadini, nel rapporto tra istituzioni e gli operatori di queste, per molti motivi, si sono sviluppati rapporti intossicati  da rancori e diffidenze, da permanente spirito rivendicativo che rischia di guastare anche le imprese migliori : si guarda al ritorno pubblicitario che ne ricavano i responsabili, si teme che una impresa positiva possa turbare la geometrica perfezione di una rappresentazione del potere tutta al negativo, si sospetta di fiori all’occhiello che imbellettano abiti logori. Proprio per questo occorre ribadire che esistono modi più ‘economici’ e meno rischiosi di mettersi in mostra e che nessun processo alle intenzioni può modificare la realtà di fatto di una impresa  realmente impegnativa.
Le persone che partecipano a questo esperimento non hanno nulla di più e nulla di meno di migliaia di insegnanti che fanno bene il loro lavoro nell’ordinario e tra mille difficoltà:  sono semplicemente persone che si sono rese disponibili a riparare  un rapporto che, da qualche parte e per responsabilità insieme individuali e collettive, si é guastato. Queste persone dovevano avere una motivazione in più per potersi cimentare in una impresa più difficile dell’ordinario, si tratta di un privilegio, del privilegio di affrontare una impresa difficile e cioè di affrontare un rischio. Un rischio che non é computabile in termini economici o di carriera ma che é enorme sul piano umano, perché la premessa di questo progetto é che ognuno mette in gioco non quattro tecniche didattiche ma la propria umanità. Proprio per questo era necessario che gli operatori potessero scegliersi tra loro, stabilire una relazione positiva ancor prima di operare, era necessario fidarsi l’uno dell’altro, essere disponibili a condividere i rischi. Una delle cose più coraggiose contenute in questo progetto - di cui va dato atto innanzi tutto al Provveditore -  é proprio il modo in cui sono stati reclutati gli insegnanti , che ha valorizzato la relazione personale - ed insieme il rischio e la responsabilità di chi tali scelte ha operato - piuttosto che cercare di sommergerla sotto regole solo apparentemente oggettive: significa che di questo progetto gli operatori rispondono in solido, che nessuna graduatoria, nessuna imposizione ha inquinato la libera scelta di cimentarsi e di rischiare insieme.
Per tutto questo la nostra prima preoccupazione é stata garantire a tutti gli operatori un sostegno di natura umana e relazionale che é dato innanzi tutto dal grande spazio che nella organizzazione quotidiana é assegnato ai momenti di collaborazione ed interazione, spazio che viene strutturato e garantito dalla presenza sistematica di una équipe psicologica che é parte integrante e responsabile del progetto.
La nostra ipotesi di lavoro detta in sintesi estrema é banale: solo un team docente che stia bene con se stesso, che gestisca bene le proprie intelligenze  e le proprie capacità può essere in grado di trasmettere agli altri, per ‘contagio’ prima che per  scienza,  una buona relazione con sé, fiducia nei propri mezzi intellettuali, motivazione  ad apprendere.
I mezzi  e le tecniche  di cui si dispone sono commisurati a questa ipotesi: sono previsti molti momenti di socializzazione  nel territorio, visite guidate, soggiorni di istruzione, gestione comune del tempo libero e tutto quello che potrà servire a ricostituire un legame lacerato tra un gruppo di ragazzi  e la società che li ha generati.
I gruppi di lavoro sono stati costituiti mettendo in primo piano l’attitudine  ad organizzare un curricolo o percorso di conoscenza con i ragazzi e per i ragazzi, piuttosto che la specializzazione disciplinare o il livello di scuola: lavoreranno assieme insegnanti provenienti dalle elementari, dalle medie, dalle superiori, più versati nel ramo artistico o tecnico o letterario o scientifico , ma tutti con caratteristiche polivalenti,   in possesso di ‘competenze trasversali’ - detto in sintesi -  capacità  e volontà di impegnarsi ad insegnare a tutto campo.
Tutto questo é reso possibile anche dalla disponibilità di un adeguato budget che consente di ingaggiare  -quando necessario- specialisti, in questo o quel campo, in grado di trasmettere nel migliore dei modi le indispensabili conoscenze ed abilità  seguendo anche indicazioni ed attitudini dei ragazzi. Per questa parte occorre dare atto al Comune di Napoli (Assessorato alla Dignità) di aver operato le scelte giuste, da un lato impegnando tempestivamente le somme - cosa che nelle altre grandi città italiane non é ancora realizzato- e dall’altro di aver stabilito una vera integrazione con la scuola, cosa che al momento é unica in Italia, dal momento che in genere gli interventi del privato sociale sono realizzati  in modo indipendente seppur coordinato: nel nostro caso tutte le risorse finanziarie e professionali, pur nella distinzione dei ruoli e nella diversa regolamentazione contrattuale, sono gestiti sotto la responsabilità  della scuola presso cui si svolge il progetto.
La valutazione dei risultati avverrà soprattutto in relazione alle capacità di orientare che avrà avuto questo corso: la licenza media é solo la sovrastruttura giuridica di un risultato sostanziale molto più o importante che non riguarda solo il possesso di alcune abilità strumentali,  ma riguarda il proprio orientamento  rispetto alla identità, alle relazioni,  al lavoro. Uno spazio importante, che riguarda oltre la metà delle ore impegnate, riguarda quindi attività che siano in grado di far conoscere e partecipare i ragazzi ad attività, iniziative, imprese, che arricchiscano la gamma delle Chance che ciascuno vede di fronte a sé sottraendolo al determinismo di ambienti che sono culturalmente poveri soprattutto perché offrono percorsi obbligati ed oppressivi.
Oggi 3 luglio, dopo una serie di contatti preliminari, prendiamo un primo contatto con il problema discutendo tra noi a partire da un film. Si tratta di una scelta quasi obbligata perché siamo tutti presi da un’ansia notevole nei confronti del compito, e dobbiamo cercare di fare in modo che l’ansia generi tutto il suo potenziale positivo in termini di responsabilizzazione, di impegno, di comprensione e non diventi invece paralizzante: lavorare su un film é come svolgere una esercitazione  con proiettili a salve che consente di prendere confidenza col campo di battaglia senza farsi male e consente interiorizzare qualche tattica per non farsi male neppure sul campo vero, ma soprattutto serve a dare fiducia che l’intera squadra é in grado di sostenerti e che non sarai solo di fronte alle difficoltà.
La metodologia di condividere e gestire ansie e preoccupazioni, di sostenere continuamente la coesione del gruppo accompagnerà tutto il nostro lavoro, di questo siamo grati alla équipe dei prof Valerio  ed Adamo che ha accettato  - nonostante i tempi stretti e le condizioni non ideali - di condividere il rischio dell’impresa insieme ai docenti e che é stata in grado di metterci in marcia ancora prima che siano definiti nei dettagli tutti i contratti e tutti gli impegni.
Ci auguriamo tutti di poter far un buon lavoro.
Cesare Moreno


La mia foto
Napoli, NA, Italy
Maestro elementare, da undici anni coordina il Progetto Chance per il recupero della dispersione scolastica; è Presidente della ONLUS Maestri di Strada ed in questa veste ha promosso e realizzato numerosi progetti educativi rivolti a giovani emarginati.