giovedì 8 dicembre 2011

Insegnare al Principe di Danimarca - Nota del redattore e ringraziamenti

Pubblico questa nota sul mio blog perché solo ora sono riuscito a completarla in tutti i suoi aspetti. Spero che sarà possibile inserirla per intero o in sintesi nel libro che fortunatamente conosce una certa diffusione e quindi sarà certamente ristampato.
Con questa nota  intendo ringraziare quanti hanno contribuito alla stesura del testo "Insegnare al principe di Danimarca"
La redazione finale è solo opera mia, nel senso di averne la piena responsabilità. Ho fatto tutto il lavoro che è durato circa 18 mesi da solo, è stata mia la fatica ed il dolore di rimettere mano in una materia  caratterizzata da un doppio lutto, quello della perdita  irreparabile della mia compagna, e quello della fine ignominiosa del Progetto Chance a cui insieme avevamo destinato le nostre migliori energie.
In quei mesi ho lavorato contemporaneamente per tenere in vita quanto di prezioso lasciava a tutti la vita di Carla, e per rimettere in piedi un gruppo di lavoro che continuasse quelle pratiche, perché senza una ripresa attiva del lavoro anche le buone idee  contenute nel libro diventavano un necrologio piuttosto che un invito all’impegno.  In questo lavoro sono stato sostanzialmente solo perché è quello che succede di norma quando un gruppo  viene sconfitto e scompaginato: ciascuno è restato a leccare le proprie ferite, troppo sconvolto per riprendere un percorso.  Capisco il disagio di tanti colleghi ma sta di fatto che ho avuto solo l’aiuto di giovani che condividono la nuova impresa e di antichi amici tra cui principalmente  Adriano Sofri.  Adriano mi ha aiutato soprattutto col sostegno  morale di chi ha subito poco prima lo stesso lutto e di chi aveva un particolare legame affettivo con Carla. Senza di lui avrei forse ceduto le armi. Ma insieme al sostegno morale Adriano si è sobbarcato il lavoro più ingrato leggendo e rileggendo il testo per individuare incongruenze, punti e virgole fuori posto, maiuscole ballerine, nomi errati, passaggi oscuri. Infine Adriano ha chiesto di non essere citato. Credo che il motivo principale sia stato il non voler focalizzare su questo libro ostilità a lui dirette che come è noto non mancano mai. Dopo qualche tentativo di replica ho dovuto accettare e ancora non so se ho fatto bene. Tuttavia l’editore, all’oscuro di questo nostro dibattito, aveva già pubblicato un annuncio (che tuttora  gira in qualche angolo dimenticato del Web) in cui Adriano Sofri figurava tra i curatori. Questo è bastato a far sorgere interrogativi e interpretazioni e quindi a far entrare  dalla finestra  ciò che si voleva evitare.

Quindi qui ringrazio innanzi tutto Adriano Sofri per il suo sostegno e per il lavoro umile compiuto; ringrazio tutti i colleghi e gli educatori, gli psicologi, i dirigenti che hanno contribuito a tenere in vita il progetto Chance e ringrazio con grande calore tutti quelli che stanno  contribuendo a mandare avanti, ormai da due anni, le attività del progetto E-VAI che cerca di tenere in vita le metodologie proprie del  progetto Chance. Il  lavoro di queste persone è alla base delle cose scritte in questo testo. Carla tra noi era quella che meglio riusciva a trovare le parole giuste per parlare del nostro lavoro ma che aveva anche una estrema sensibilità a dare voce agli altri piuttosto che comportarsi come il proprietario delle idee o delle parole che scriveva. Mai come nel suo caso è appropriato dire che è la voce di un gruppo anche quando parla in prima persona. Senza il lavoro delle persone citate le parole scritte non avrebbero senso.
Così  come è importante il cantore è fondamentale l’editore: I pensieri e le parole dei Maestri di strada  sono diventate pensiero di un movimento attraverso Carla e la preziosa pubblicazione  da parte della rivista Una Città
(http://www.unacitta.it/newsite/interviste.asp)
Questo ringraziamento avrebbe dovuto comparire fin dalla prima edizione, se ciò non è accaduto è per un mio imperdonabile errore i cui contorni descrivo qui di seguito, così come cito tutti gli scritti a cui ho attinto in modo che chi vorrà potrà esercitarsi a ritrovare le radici più lontane di un pensiero complesso per origine e organizzazione.

Insegnare al Principe di Danimarca  è il risultato di un lavoro di composizione basato sugli scritti di Carla Melazzini di cui una parte importante pubblicati, un’altra parte fogli di lavoro utilizzati nel suo lavoro, altri appunti.  Inoltre ho utilizzato scritti riguardanti la nostra città  e il nostro lavoro di altri autori più o meno direttamente connessi al continuo lavoro di riflessione sulle nostre pratiche. Infine ci sono scritti  di paternità incerta o collettiva facenti parte del repertorio di osservazioni su cui si basano le pratiche educative che caratterizzano i Maestri di strada.  Molte volte esistono due versioni dello stesso scritto, una interna, l’altra per la pubblicazione, e qualche volta ho mescolato le versioni perché serviva a dare continuità alla narrazione, altre volte ho utilizzato scritti che non sono di Carla per costruire  qualche riga di raccordo e comunque ho riletto tutto e assemblato una prima versione che comprendeva più o meno tutto il materiale di cui fornisco l’indice.
Gli scritti più organici sono ovviamente quelli destinati ad un uso pubblico o alla pubblicazione. Qualche persona particolarmente gentile nei miei confronti mi ha chiesto se le parti più oscure sono scritte da me e quelle più chiare da Carla. Posso rassicurare altri che abbiano questa impressione: le differenze stilistiche e la comprensibilità è dovuta alla differenza dei destinatari: sono più comprensibili le parti che hanno un destinatario ‘universale’ meno quelle che sono contestualizzate a destinatari già addentro alla narrazione. Gli interventi redazionali sono stati di poche righe o solo di qualche parola.  Non ho segnalato queste cose, perché non si tratta di un saggio ma sostanzialmente di una narrazione così come ho potuto riviverla poggiandomi sugli scritti di Carla e quelli interni al progetto Chance.
Scorrendo l’indice che segue il lettore si rende conto che una parte importante  del testo  ha attinto agli articoli pubblicati per trenta anni, 1978-2008, prima su Report poi su Una Città. “Una città” ha avuto un ruolo importante perché Carla si riteneva, come del resto io stesso, un redattore e un socio di questo meritorio giornale. Scorrendo l’indice ci si rende  conto che interi articoli sono riprodotti tal quali, ma anche che molti non sono stati inseriti nel testo definitivo. Visitando il sito di Una città (http://www.unacitta.it/newsite/interviste.asp)  chiunque può facilmente ricostruire la sequenza completa degli articoli che costituiscono un archivio organico riguardante la vita di una grande città e il lavoro educativo dei Maestri di Strada.
Era mia intenzione inserire il riferimento di ogni parte inserita ed avevo costruito la prima versione in questo modo. Già così il testo veniva continuamente spezzato; ma successivamente, intrecciando ed integrando i vari brani, sarebbe stato improponibile. Così ho eliminato i riferimenti intermedi. Avrei dovuto apporre questa nota alla fine del libro, ma quando è arrivato il momento ero al massimo della confusione e della fatica e non ce l’ho fatta a compiere l’ultimo sforzo, ho scelto, per non fare torto a nessuno, di fare torto a tutti non citando nessuno. Si è trattato di un grave errore per il quale non ho scusanti. Qualcuno ritiene che gli errori debbano essere interpretati  e rimandati a qualche colpa. Forse hanno ragione ma io non posso aiutarli in questo esercizio. Mi addolora aver provocato queste reazioni, non bisognerebbe mai commettere questo genere di errori perché ciò induce altri a riaprire proprie ferite e disagi. E’ la lezione più grande che abbiamo appreso negli anni del progetto Chance: un errore – anche piccolo - è in genere il punto di partenza per una reazione a catena di grandi proporzioni. Con questa nota chiedo scusa a chi è stato escluso dal condividere fin dall’inizio la nuova vita degli scritti di Carla. Questo non basta a mettere riparo al danno fatto ma almeno serve non provocare danni ulteriori.

Carla Melazzini - Cronache degli anni ’80 (pubblicate da Report)           

Scritti infantili sul rapimento Moro (1978.07.21 )
Callas - sublime per il piacere di esserlo (1980 )
Il re è a caccia (1982 )
Labriola e  la leggenda della Camorra (1982.04.04 )
Quattro storie quotidiane (1982.05.04 )
Bettelheim - E io sono scampato a raccontarvelo (1985.01.01 )
La sacrosanta noia delle scolaresche (1985.07.25 )
Il tulipano finto (1985.12.01 )

Articoli ed interviste pubblicate dalla rivista Una città

Inattualità dell’attualità  di Carla Melazzini  - N° 35 / Ottobre 1994
I nomi del maestro  di Carla Melazzini  - N° 38 / Gennaio/Febbraio 1995
Cos’hai? Intervista a studente napoletano  di Carla Melazzini  - N° 39 / Marzo  1995
Osservazioni di un insegnante genitore refrattario   di Carla Melazzini  - N° 40 / Aprile 1995
Agostino. Carla Melazzini discute dei ragazzi di Napoli   di Carla Melazzini  - N° 41 / Maggio 1995 
Anna Moreno L’asilo nido  a cura di C. Melazzini  - N° 44 / Ottobre 1995 
Il doppio Ismaele  di Carla Melazzini  - N° 47 / Gennaio/Febbraio 1996
Luisa Melazzini  - Ti scrutano  a cura di C. Melazzini  - N° 49 / Aprile 1996 
In lode dello sradicamento  di Carla Melazzini  - N° 52 / Agosto/Settembre 1996
Pasquale Dentice - La causa  a cura di C. Melazzini  - N° 52 / Agosto/Settembre 1996 
Dove vivere non è bello  di Carla Melazzini  - N° 54 /  - Novembre 1996
Monsignor Raffaele Nogaro Fedeli ai poveri  a cura  di Carla Melazzini e Nicola Magliulo  - N° 55 / Dicembre/Gennaio 1997 
Le strade del libro e del lavoro – Interviste a Giuseppe,  Maurizio e Nicola   di Carla Melazzini  - N° 58 / Aprile 1997 
Teresa Centro - Se l’alternativa è la noia.doc  a cura di C. Melazzini  - N° 61 / Agosto/Settembre 1997 
Rosso fuoco  di Carla Melazzini  - N° 68 / Maggio 1998
Ragazzi a Ercolano - Intervista a Ciro  a cura di Katia Alesiano   - N° 75 / Marzo 1999 
Ciro Naturale - Disordine pubblico  a cura di C. Melazzini  - N° 82 / Gennaio 2000
Amalia Aiello, Anna La Rocca, Rita Iannazzone,  
La storia del brutto anatroccolo...  a cura di C. Melazzini  - N° 83 / Febbraio 2000 
Carmine Amato, Maria Alcidi  - Beh, nel far dire loro "posso scegliere" si e' gia' fatto tanto  a cura B. Bertoncin  - N° 85 / Aprile 2000 
Anna Milone  - Era li’, davanti a casa...  a cura di C. Melazzini  - N° 89 / Ottobre 2000 
Quel libro dello scarrafone  di Carla Melazzini  - N° 101 / Febbraio 2002
Quei nostri ragazzi (uccisione di Filippo)  di Carla Melazzini  - N° 104 / Maggio 2002
Fortuna, Maria, Patrizia e Tonia - Le mamme sociali   a cura di C. Melazzini  - N° 107 / Ottobre 2002
Oltre il giardino  di Carla Melazzini  - N° 110 / Febbraio 2003
Caroline Peyron e Rita Iannazzone - L’ah delle cose  a cura di C. Melazzini  - N° 110 / Febbraio 2003 
Alfonso e Teresa - Sono di barra anch’io  a cura di C. Melazzini  - N° 112 / Aprile 2003
Ciro Naturale - Ciro non va da nessuna parte  a cura di C. Melazzini  - N° 114 / Luglio/Agosto 2003 
Il pane e le brioches  di Carla Melazzini  - N° 116 / Ottobre 2003
I gigli di barra  a cura di C. Melazzini  - N° 116 / Ottobre 2003
Margherita Fusco  - Cosa ha fatto la scuola per loro    a cura di C. Melazzini  - N° 120 / aprile 2004 
Salvatore, Pasquale e Gaetano - Mi sono costituito a Orvieto...   a cura di C. Melazzini  - N° 131 / agosto-settembre 2005 
Un incontro, una possibilità  di Carla Melazzini  - N° 133 /  - Novembre 2005
Ciro Naturale  - Il giglio dei ragazzi  a cura di C. Melazzini  - N° 137 / marzo 2006 
La buona relazione  di Carla Melazzini  - N° 141 / agosto-settembre 2006
Una vita senza lavoro...  di Carla Melazzini  - N° 146 / marzo 2007
Teresa Centro - Il secondo imprinting  a cura di C. Melazzini  - N° 146 / marzo 2007 
Monnezza lettera da Napoli  di Carla Melazzini  - N° 153 / febbraio 2008
Biagio  - Tra pescatori ci si saluta...  a cura di C. Melazzini Barbara Bertoncin  - N° 153 / febbraio 2008
Rosa Apice - Non è che avrei voluto fare chissà cosa...   a cura di C. Melazzini Barbara Bertoncin  - N° 155 / aprile 2008 
Se sentirete ancora parlare di Ponticelli...  di Carla Melazzini  - N° 157 / giugno/luglio 2008
Mamma Patrizia  a cura di Barbara Bertoncin   - N° 158 / agosto-settembre 2008
Gaetano Salvemini - Coco’ all’università di Napoli o la scuola della mala vita  a cura di C. Melazzini  - N° 159 / ottobre 2008 
Giovanni Giuseppe Moreno  - Inumeri e la forma    a cura di C. Melazzini  - N° 160 /  - Novembre 2008 

Articoli riguardanti la scuola e la città
(
di Cesare Moreno, pubblicati nella rivista Una città)

La fatica di Napoli  - N° 027 /  - Novembre 1993
Ragazzi di strada  - N° 031 / Aprile 1994 
Senza reciprocità nulla funziona  - N° 033 / Giugno 1994 
Salvatore Afflitto  - Quel fax…  - N° 057 / Marzo 1997 
La lezione del fango  - N° 068 / Maggio 1998 
L’obbligo democratico  - N° 100 / gennaio 2002
Dove si finisce  - N° 111 / Marzo 2003 
Se qualcuno della società civile “si presenta”…  - N° 137 / marzo 2006 
La pedana che non c’è piu’  - N° 153 / febbraio 2008 
O. H. Mendjia, A. Presti, J. Rossetto, D. Calabresi, Ilbellodella città  - N° 157 / Giugno/luglio 2008

Articoli riguardanti Napoli, la scuola, il progetto Chance
(realizzati dalla redazione di Una città)

Amato Lamberti -  Camorra  a cura Cesare Moreno, Massimo Tesei  - N° 31 / Aprile 1994
Emilio Lupo - La salute e il quartiere      a cura di B. Bertoncini  - N° 122 / luglio-agosto 2004
Gianni Manzo - L’educatore  a cura di B. Bertoncini  - N° 156 / maggio 2008 
Giuseppe Ferraro - Dare luogo alla filosofia  a cura di B. Bertoncini  - N° 117 /  - Novembre/Dicembre 2003 
La gita ai quartieri spagnoli…  Lucia Marchetti  - N° 89 / Ottobre 2000
Maestri di strada  Marco Rossi Doria  - N° 43 / Settembre 1995
La sponda adulta  Marco Rossi Doria  - N° 72 /  - Novembre 1998 
Peppe Marmo - Il paio di silver   a cura di B. Bertoncin  - N° 122 / luglio-agosto 2004
Roberto Esposito - Dono e dovere   a cura di B. Bertoncin  - N° 71 / Ottobre 1998 
Stefano De Matteis - Il culto degli anonimi   a cura di B. Bertoncin  - N° 67 / marzo 1998 
Tiziana Iorio - Ti svegli e non sai quali sono le regole   a cura di B. Bertoncin  - N° 139 / maggio  2006 

Dai verbali  del Progetto Chance 1998-2008 - inediti

Relazione Bonavita (1998.06.11)
Osservazioni Primo incontro servizi sociali (1998.08.15)
Indice della documentazione (1998.10.15)
Verbale Lello (1998.10.15)
Verbale servizi sociali (1998.10.15)
Verbale animatori (1998.11.23)
Ammissione Carderopoli (1999.01.02)
Colloqui individuali (1999.03.26)
Verbale (2000.09.13)
Valente (2000.09.26)
Di Maro (2000.09.27)
Milone (2000.10.01)
Perna (2000.10.01)
Verbale programmazione (2000.10.11)
Verbale inizio (2000.10.25)
Accoglienza 2 3 4 (2001.09.17)
Valutazione colloqui (2001.09.20)
Verbale livelli successivi (2001.09.28)
Verbale selezioni (2001.10.01)
Verbale 2 3 lvello (2001.10.19)
Petriccione (2001.10.23)
Programmazione (2001.11.14)
Programmazione (2002.02.27)
Programmazione (2002.03.06)
Programmazione (2002.05.08)
Organizzazione livelli (2002.05.21)
Interistituzionale (2002.09.05)
Antropologia laboratorio storico (2003.05.03)
Imparare l’arte (2003.10.06)
Verbale S. Giovanni (2004.01.19)
Antropologia restituzione  Ghione (2006.09.05)
Antropologia Linee generali  (2006.09.05)
Antropologia prima riunione (2006.09.05)
Antropologia Promemoria (2006.09.05)
Antropologia scheda inizio (2006.09.05)
Progetto educativo Chance (2007.01.29)
Formazione educatori (2007.02.12)
Sulla funzione gruppo (2007.03.13)
SGB programmazione (2008.01.14)

Scritture in corso  di vari partecipanti al progetto Chance

Questionari sulla mafia (1995.02.08)
Incontro servizi sociali sh (1998.09.15)
Primo Incontro servizi sociali (1998.09.15)
Barricate a chance (1999.03.08)
Verbali psicologici (1999.06.16)
Intricato ma intrigante (2002.05.10)
Simona seminario (2002.06.01)
Zone franche (2002.07.03)
Dilemmi di Antonio ovvero Antonio come dilemma (2002.10.01)
Gianluca - Una speranza intrisa di dolore (2002.11.18)
Sui fatti di Procida (2005.02.06)
Schema per la Valutazione (2005.05.02)
Violenza cronica e traumi (2005.09.16)
Il tutor nell’azione didattica (2006.01.11)
Parametri del successo  (2006.03.25)
Chance2,3..   (2006.03.27)
Gli OFIS-Chance (2006.04.01)
Comunità che apprende
Relazione all’Università di Huelva (2006.05.04)
Riassunto sulla didattica (2006.05.23)
Seminario sui Tutor (2006.06.08)
Rustin – Apprendimento ed emozioni (2006.06.19)
Restituzione gruppo 2007 (2007.03.21)
Linee di luce - educare nella scuole e nella strada  (2007.05.03)
Circle Time su un caso di furto (2007.05.30)
Camminare (2007.06.19)
Mansionario dei genitori sociali (2007.06.25)
Perché i tutor sono assenti (2007.11.21)
Un mondo al congiuntivo (2008.07.10)
Se ne è andata (2009.12.14)

Fogli di lavoro – Scritti discussi in varie occasioni formative per gli operatori del Progetto Chance

Il ragazzo e la scuola  (1993.10.14)
Testi mafia (1994.04.20)
Antologia 1 (1996.01.04)
Antonio (1996.01.17)
Antologia 2 (1996.02.28)
Primo giorno (1996.03.31)
Chi sono  (1996.04.26)
Anna e Susi (1996.06.11)
Relazione anno scolastico (1998.06.16)
Alessandro De Cicco (1998.09.17)
Antonio Castaldo (1998.09.17)
Colloquio Pugnetti (1998.11.18)
Colloquio Sipone (1998.11.21)
Colloquio Cesarano (1998.11.22)
Colloquio Esposito (1998.11.22)
Legittimità dei  sentimenti  - Lello (1999.01.06)
Relazione anno scolastico (1999.06.16)
Oltraggioso e non vero (1999.12.15)
Esami (2000.03.26)
Colloquio Valente Valerio (2000.09.27)
Colloquio Perna Ciro (2000.10.01)
Corpo a Chance (2000.12.06)
Didattica della  parola (2001.05.13)
Autovalutazione (2001.07.03)
Relazione seminario linguistico (2001.10.28)
Orientamento programma (2002.03.17)
Parole per Adriano Sofri  (2002.03.25)
Buone prassi - accoglienza (2002.09.26)
Buone prassi - rituali (2002.09.27)
Buone prassi - Spazi (2002.09.29)
Buone prassi - sulla separazione (2002.10.01)
Buone prassi - genitori sociali (2002.10.07)
Buone prassi - leggendo verbali  in controluce (2003.01.06)
Commissione linguistica (2003.03.18)
Starace su droga (2003.10.24)
Buone prassi - 1 2 3 (2003.12.03)
Intervista alle Mamme Sociali (2003.12.05)
Esplorando alla ricerca del lavoro VR (2003.12.09)
Narrazione ed espressione artistica (2003.12.16)
Come promuovere la lettura (2004.01.15)
Buone prassi - Codocenza (2004.01.18)
Marco Bifani (2005.01.16)
Melissa - Mio padre in carcere (2005.06.07)
Sulla funzione del gruppo (2007.03.13)
Istituzione sperimentazione (2007.09.18)
Relazione OFIS (2007.11.28)
Osservazioni su una lezione di inglese (2008.01.18)

Alcune uccisioni di ragazzi nelle cronache del tempo

Giovanni Gargiulo (1998.02.18
Cesare Nordino (2001.08.05)
Filippo Nocerino (2002.03.30)

Interviste di allievi del Progetto Chance ad adulti

Intervista ad assessore Tecce (2003.12.01)
Intervista alle Mamme Sociali (2003.12.05)
Intervista a Cesare Moreno (2003.12.12)
Intervista Rossi Doria (2003.12.12)
Intervista a Teresa Centro (2007.03.02)
Intervista n.1 (2007.11.12)


mercoledì 19 ottobre 2011

Non c’è educazione senza desiderio

Appunti per l'apertura Mondo in pace  2011 - Genova 12 ottobre 2011

de-sidera
Dal latino de-sidera, termine legato alle stelle.
Un'ipotesi etimologica del termine affonderebbe nel De bello Gallico, dove i de siderantes erano soldati che attendevano, fissando attentamente le stelle, i destini della battaglia dell'indomani.

Ciascuno cresce solo se sognato

di Danilo Dolci
C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

quando desiderare era ancora efficace 

I fratelli" Grimm non avrebbero potuto iniziate la loro raccolta di fiabe con una frase più eloquente  di quella che apre il loro primo racconto, Il Re Ranocchio. La frase è questa:
Ai tempi antichi, quando desiderare era ancora efficace, viveva un re che aveva delle figlie tutte bellissime; ma la più giovane era così bella che persino il sole, che ne ha viste tante, andava in estasi ogni volta che splendeva sul suo volto.
Quest'inizio situa la storia in un'epoca irripetibile da fiaba: il periodo arcaico in cui tutti credevamo che i nostri desideri potessero, se non smuovere le montagne, almeno cambiare il nostro destino, e in cui, secondo la nostra visione animistica del mondo, il sole si accorgeva di noi e reagiva agli eventi. La sovrumana bellezza della fanciulla, l'efficacia del desiderio e l'estasiarsi del sole significano che siamo di fronte a un fatto assolutamente unico. Sono queste le coordinate che situano la storia non in un tempo o in un luogo appartenenti alla realtà esterna ma in una condizione mentale: quella dei giovani di spirito. In virtu’ di questa sua collocazione, la fiaba può coltivare tale spirito meglio di qualsiasi  altro genere letterario.
Bruno Bettelheim – Il mondo incantato pag 63-64

….   vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole - Dante

Desiderio
Tra queste citazioni  esistono delle parentele importanti: 
il desiderio è una affezione onnipotente, solo un potere sconfinato dà la possibilità  di realizzare i desideri
il desiderio  appartiene al mondo dei sogni, al potere umano di immaginare  le cose come non sono e di inventarle
il desiderio appartiene alla condizione giovanile, ad una condizione mentale di mutabilità in cui gli elementi del reale  sono riutilizzati in funzione di sé
L’educazione se tale vuole essere deve appropriarsi di tutte e tre queste caratteristiche: avere la presunzione onnipotente di poter cambiare i destini umani, essere capace di sognare le persone come non sono, essere capace di accogliere la mutabilità, sperimentalità agita dei giovani.

Poiché siamo saggi, sappiamo anche che l’onnipotenza pedagogica è una grave malattia, che scambiare i sogni per realtà  lo è altrettanto e così il giovanilismo.

Premesso, quindi, che siamo a conoscenza degli antidoti per i superdosaggi, occorre rivendicare all’educazione onnipotenza, sogno e mutabilità. Sono tre cose che ci aiutano ad elevarci, come dice Korkzak  all’altezza del bambino o degli adolescenti, perché ci rendono simili a loro e capaci di assumerne il punto di vista.

Detto questo voglio solo parlare di come sia possibile desiderare, sognare, essere giovani in un mondo in cui sogni e desideri sono vittime di un genocidio mentale conclamato, organizzato da vecchiezza imperante.

Il primo punto è conservare la capacità di ‘guardare le stelle’ e orientarsi sui loro segni,  questo è possibile solo attraverso rituali e liturgie che consentono di tenere in vita ogni giorno la tensione verso la missione del lavoro educativo. Questo rituale è fondato sulla rilettura continua della realtà in movimento dei giovani che crescono,  su una narrazione continuamente rinnovata del processo educativo che ci coinvolge  come attori e destinatari al tempo stesso. È una liturgia della parola in cui si cercano le parole necessarie a dare un senso agli accadimenti incoerenti e contraddittori propri del lavoro educativo con i giovani.

Il secondo è riuscire a scoprire in ciascun giovane, singolarmente preso, il senso del sogno educativo,  far sentire che qualcuno crede in lui e lo vede come non è ora e quindi essere capaci di mettere in atto tutti i costrutti che facciano sentire ai giovani la presenza di una cura  e di una attenzione che sono “esclusivi” per lui.

Il terzo è accogliere l’esperienza dei giovani, considerare i loro errori come fecondi, accogliere anche l’aggressività come espressione comunicativa da leggere  per trovare un filo significativo nella convulsa vita giovanile.
Pensare 
Detto in modo diverso occorre costruire contenitori per le ansie degli educatori e dei giovani assieme,  organizzare le attività in modo accurato, dotarsi di virtù passive quali l’osservazione e l’ascolto.
L’attività riflessiva per gli educatori è il luogo fisico e mentale in cui il sogno si rinnova, in cui concetti e punti di riferimento si muovono liberamente per rifondersi in nuovi costrutti  mentali, nuove costruzioni di senso. Per questo  è per noi fondamentale che il luogo di riflessione sia psicologicamente aperto, che assuma il dolore, il disagio, la rabbia, la frustrazione, l’aggressione, il conflitto, i silenzi, le urla come elementi del campo (humani nihil a me alienum puto), perché sono le emozioni a rimettere in movimento il pensiero e ad imporci la ricerca di costrutti mentali adeguati a tenere insieme ciò che rischia di ‘scoppiare’, di uscire dalla coppia reale-pensabile, di uscire fuori della possibilità di senso.

Tutte le volte che studiamo da vicino le dinamiche all’origine della dispersione scolastica  noi entriamo in contatto con la macchina della follia, un sistema folle che genera contemporaneamente  dolore ed espulsione  per entrambi i protagonisti: dolore e fallimento nei docenti, dolore e fallimento nei giovani; uno scoppio di follia, scissione delle parti del sistema e delle parti interne di ciascuno. Nel lavoro educativo noi semplicemente cerchiamo di mantenere le connessioni delle parti interne come delle parti del sistema e cerchiamo sistematicamente le corrispondenze tra ciò che si agita negli animi e ciò che perturba il sistema.

Il cammino dell’educazione non si compie se non passando attraverso stati di squilibrio così come l’andatura bipede non si realizza se non passando attraverso una continua e provvisoria perdita di equilibrio.
E’ la consapevolezza  della scissione sistemica e personale che ci consente di guardare con sguardo solidale la sofferenza dei giovani insieme a quella degli adulti che gli stanno accanto a cominciare dai docenti e dagli educatori. E la ricerca di senso non è mai contro ma insieme. La nostra esperienza forse si distingue da tante esperienze che hanno saputo fare un buon lavoro con giovani altrimenti emarginati, perché abbiamo fatto a meno del nemico,  della necessità scissa di attribuire ad altri o ad altro le nostre difficoltà.  Non è semplice farlo, non è semplice tollerare di vivere in condizioni estreme, sentirsi attaccati e disconosciuti da ogni parte e partire sempre dall’interrogarsi su di sé, su come riusciamo a conservare noi stessi nelle avversità piuttosto che pensare ad evitare le avversità o immaginare che siano eliminabili. Non è un filosofia della rassegnazione, tutt’altro, è una filosofia delle resistenza e dell’educazione perché è questa capacità di tollerare le frustrazioni, le sconfitte e le ingiustizie che ci avvicina veramente ai giovani che pretendiamo di educare. E solo scendendo nel loro inferno che noi ci eleviamo alla loro altezza e ci rendiamo capaci di guidarli fuori di esso. C’è una frase lapidaria  di  Carla che inchioda i critici di diversa sponda: il pensiero autoritario pretende di eliminare i diversi, quello superficialmente democratico elimina la diversità si rifiuta di pensarla, di renderla visibile.

Molti critici hanno osservato che nella narrazione di Carla c’è solidarietà senza cedimenti sentimentali, c’è una determinazione che va oltre ogni avversità. È la stessa cosa che ci hanno riconosciuta i primi allievi: voi non smettete proprio mai. E Carla Melazzini queste caratteristiche le aveva scritte insieme nel DNA della montanara e del pensatore rigoroso addestrato a trovare fili di senso nelle materie le più aggrovigliate. Ma senza  togliere nulla al suo merito personale devo sottolineare che tutto questo era ed è un metodo  di lavoro che consente anche a giovani persone , ai nativi digitali invece che ai nativi dei monti, di conquistare per sé  la capacità di produrre senso piuttosto che l’agitarsi insensato.

Dunque il rituale che ci consente  di rinnovare il sogno educativo è un rituale in cui  si cerca di riannodare fili spezzati partendo dalla costatazione della rottura, e si stabilisce così un  campo aperto, sconvolto e sconvolgente, che rende possibile un pensiero insieme accogliente e disincantato, flessibile ma rigoroso. La prosa di Carla Melazzini è quella  che nel modo migliore rappresenta la complessità delle attività riflessive condotte per dieci anni nel progetto Chance e che oggi continuiamo in forme diverse nel progetto E-VAI.

E’ l’ascolto vero, sincero, di chi ha imparato a calarsi nella parte dei perdenti e degli sconfitti  che ci ha consentito di capire come non possiamo sovrapporre i nostri desideri a quelli dei nostri allievi.
Il desiderio non è appetenza al possesso, o nostalgia di un bene perduto, ma una disposizione emotiva  che ci fa vedere come possibile un sogno, che  ci fa ritenere di avere il potere di realizzare ciò che decidiamo. È necessariamente illimitato  e  solo successivamente al suo  dispiegarsi fa i conti con le limitazioni del reale.
Come dice Bettelheim il tempo dei desideri è un tempo passato ed irreale ed il lavoro educativo consiste nell’accedere a questi spazi  e rendere possibile il desiderio.
Perché il desiderio di cui parliamo non è solo quello dell’educatore che accompagna i giovani, ma quello dei giovani che crescono  e richiede uno spazio interiore che le circostanze della vita  hanno contribuito ad ostruire. I vincoli culturali ed emotivi posti dall’ambiente di vita,  rendono insostenibile il peso del desiderio; i pregiudizi sociologici di troppi educatori impediscono di vedere  le ostruzioni dell’animo, per concentrarsi sulla desiderabilità del cambiamento sociale, o dell’ascesa sociale. Quando lo spazio mentale non c’è  il sogno si avvicina pericolosamente all’incubo: i giovani vedono la terra promessa  oltre un abisso e temono  di avanzare sul ponte precario che collega le sponde.  Così nella scrittura di Carla una sconfitta cogente, un’allieva che abbandona il percorso dopo quattro anni di attività costruttiva  alla vigilia del diploma perché deve sposare ‘un bravo giovane’ (che è talmente bravo che non ritiene necessario che lei studi, meglio ancora glielo proibisce) si trasforma nella riflessione amara e al tempo stesso costruttiva che ci invita a guardare con occhio solidale alla scelta – che resta sbagliata – di questa  allieva e ci aiuta a capire quanto sia importante proteggere in lei il  seme della conoscenza e della libertà piuttosto che volerne assaporare in fretta frutti maturati artificialmente.
E così dopo aver contemplato l’abisso  possiamo approdare ad individuare i parametri del successo non nei successi ‘mondani’ ma nella ritrovata connessione con tutte le proprie parti, riassunte esemplarmente da un giovane al ritorno del ‘viaggio di formazione’ successivo al diploma: abbiamo camminato, abbiamo sudato e non abbiamo mangiato continuamente.
Abbiamo ritrovato la voglia di esplorare il mondo, ci siamo riappropriati del corpo, abbiamo smesso di dipendere dai bisogni primari.
Non lo hanno detto ma forse avrebbero potuto dire ‘ci siamo conquistati la possibilità di desiderare’.
Questa è l’eredità lasciata da Carla Melazzini a loro e a noi.

domenica 18 settembre 2011

L'alleanza con i giovani, a scuola


Caro Sindaco, Caro Presidente
(C’è sempre un presidente nei paraggi)
Cari sindaci, cari presidenti
(Molti sono coloro che sìndacano e presiedono)
Cari residenti
(oh! Un fecondo refuso ha spodestato i presidenti)

Vorrei parlarvi dei giovani.

Non vorrei parlare sui giovani, o a nome dei giovani,
ma dei giovani come ognuno di noi li porta dentro
e li sente nelle azioni quotidiane.
Noi abbiamo un modo di vita che ogni giorno uccide i giovani:
uccide la capacità umana di vedersi e riconoscersi
non solo da dentro ma da fuori,
la capacità di riflettere su di sé, progettare il proprio futuro
anche se è breve,
anche se siamo sulla soglia dell’ultimo respiro.
Noi uccidiamo quella che uno psichiatra napoletano chiamava
“la sperimentalità agita dei giovani”. E aggiungeva:
“l‘umanità giovanile è l’unica umanità di cui disponiamo”.

Dunque sotto molti aspetti noi siamo degli zombies,
e come tutti gli zombies tendiamo ad assimilare
al buio della morte ogni vivente.
Noi abbiamo in odio la gioventù perché ci ricorda il delitto
che quotidianamente compiamo dentro di noi, uccidendo la vitalità.
I giovani sono testimoni pericolosi di un paradiso
perduto per nostra pervicace volontà
o forse per nostra pervicace ignavia
per questo  diventiamo acuti osservatori
di quanto i giovani siano…
smodati, eccessivi, sguaiati, inconsulti, avventati, aggressivi.
Violenti, vuoti, consumisti, più violenti, ignoranti, presuntuosi
….
Le prove ci sono, è proprio tutto vero, abbiamo ragione!
aver ragione questo il nostro torto,
la pretesa di usare la ragione
per dimostrare,
ai giovani
che non hanno diritto ad essere come sono.

L’aver ragione ci serve a mascherare, a noi stessi,
l’oscena pretesa di guidare gli altri
mossi solo dall’invidia  e dalla gelosia
per avventati vitali comportamenti.

Perché chi non si avventa contro i propri limiti non vive.

A noi soli spetta il futuro, a noi soli spetta poter costruire
gli edifici mentali e sociali che potranno essere abitati dai giovani
a loro si addice il conformarsi a ciò che noi costruiamo per loro
si addice rendersi degni, conformandosi a  ciò che
la nostra conformista conformazione rende a loro disponibile

A noi si addice una bontà cosmica
a loro solo il rendersene meritevoli.

Dunque nella partita tra noi e i giovani
c’è un carico simbolico
che pesa come l’universo intero

Non è competenza di un assessore, né di un sindaco,
né di tutti i presidenti  che presiedono
ciò che si può presiedere e presidiare
forse è compito dei ‘residenti’

Se leviamo la p a tutti i presidenti, restano solo dei residenti
Ed i residenti non sono cittadini,
ma semplici occupanti di metri quadrati
o anche chilometri quadrati.

Alla contesa tra chi possiede ettari di terra
metri cubi di danaro e servi osannanti
e chi occupa precariamente  solo qualche metro quadro
e non dispone di nessuno schiavo,
i giovani non possono e non devono partecipare

Forse i residenti dovrebbero battersi
non per conquistare una P
Ma per diventare cittadini,  per conquistare una capacità infinita
di costruire spazi piuttosto che occupare porzioni di superfici

Forse, a questa lotta, i giovani potrebbero partecipare con entusiasmo
Potremmo scoprire che sono loro ad inventare i cittadini di domani
Sono loro che sanno inventare  nuovi spazi
non da occupare ma da vivere

Noi adulti dovremmo essere felici di restare in seconda linea
seconda linea attiva e produttiva che aiuta chi avanza,
che sostiene, accompagna, costruisce fiducia

Se stiamo assieme per accaparrarci brandelli di un futuro radioso
Non abbiamo niente da dare ai giovani

Se stiamo insieme per inventare una speranza che è pura metafisica
Non abbiamo speranze da diffondere

Se stiamo insieme semplicemente per esserci,
e per dire: qualsiasi cosa accada sono con te,
allora ognuno di noi ha una ricchezza immensa da dare

Se stiamo insieme donando reciprocamente l’esserci
una robusta radice comune diffonderà linfa vitale
in tutto l’organismo sociale.

Questa è l’alleanza coi giovani, il patto,
che dovrebbe  essere fondativo della città viva
della casa comune che ospita un organismo vivo
piuttosto che  accampamento di semplici residenti
(s)partiti per affiliazione tra innumerevoli presidenti

Dunque noi ‘educatori di strada’
girovaghi e camminanti senza bagaglio
tra grandi e piccole superfici appoderate,
ci sentiamo avamposto di questo patto.
Ci siamo presi il mandato della città  senza che la città  lo sapesse
E ora chiediamo se la città vuole riconoscere che agiamo in suo nome
Se la città vuole dire ai suoi giovani residenti che li ama
E che li vuole veri cittadini,
costruttori di una città nuova,
migliore per tutti perché è migliore con i giovani.

Non occorre promettere,
ogni promessa sarebbe falsa
Non occorre dare,
ogni cosa ridurrebbe
le relazioni a scambio  mercantile

Non occorre fare discorsi

Occorre in silenzio stare accanto
E dopo un po’
Quando il silenzio ha fatto il suo lavoro
urlare
con quanto fiato si ha,
solo:
ci sono.


La mia foto
Napoli, NA, Italy
Maestro elementare, da undici anni coordina il Progetto Chance per il recupero della dispersione scolastica; è Presidente della ONLUS Maestri di Strada ed in questa veste ha promosso e realizzato numerosi progetti educativi rivolti a giovani emarginati.