domenica 15 dicembre 2013

Colui che avanza preceduto dal rumore dei propri passi morirà prima del tramonto

Rosaria Scarambone  ha commentato il mio post sui cento anni di Emma Castelnuovo stabilendo una bella connessione con la sua esperienza e quella di molte altre persone formatesi in quello spirito che anima Emma Castelnuovo. Ho letto poi nel profilo una sua lettera riguardante le polemiche pubbliche riguardanti gli psicologi e le loro relazioni con altre professioni.

La questione è importante e mi riguarda da vicino perché nel lavoro di ‘maestri di strada”  abbiamo a che fare ogni giorno con le cose di cui lei parla, e vorrei che tutti insieme potessimo capire meglio quale è la posta in gioco.

Questo l’incipit di Rosaria
MESSAGGIO AI COLLEGHI CANDIDATI  ... NON CI LAMENTIAMO SE POI ...  
in FB ovviamente leggo ciò che scrivono colleghi psicologi e spesso ascolto lamentele nei confronti dei medici per il tipo di relazione nei nostri confronti

Rosaria, grazie per tutte queste cose che dici della matematica. Sto pensando che dobbiamo, insieme a tanti altri con cui parliamo di queste cose organizzare qualcosa di 'mirato' su questi argomenti.

Mi ha colpito anche  il tuo post sulle polemiche riguardanti gli psicologi. 
Ora la dico grossa: "la questione è complessa" (ormai è una frase fatta perciò ci sorrido sopra), è veramente complessa.

Nel mio lavoro 'maestri di strada' collaboro con molti giovani laureati in psicologia anche solo con la triennale, per svolgere un lavoro complesso nelle classi, nel quotidiano, a fianco dei ragazzi e soprattutto dei docenti. E' una professione di strada nel senso che la inventiamo strada facendo tenendo in piedi un potente apparato riflessivo in seconda linea. Così facendo giovani operatori  stanno conoscendo situazioni di una complessità (eufemismo per dire caos incommensurabile) che spaventerebbero professionisti di lungo corso ben strutturati. Dunque le nostre colleghe non esercitano la professione di psicologhe nè si presentano come tali, fanno le "maestre di strada" come meglio possono, tuttavia non possono  e non devono nascondere che hanno la laurea in psicologia e basta questo semplice fatto a scatenare una serie di reazioni che tu ben conosci, tant'è che molto del nostro lavoro consiste nel dipanare il groviglio che intorno a questo fatto si va a costituire. Ma non ce ne lamentiamo: in un certo senso la 'parola' psicologo serve ad evocare una bella quantità di fantasmi che è bene conoscere se si vuole lavorare nella molto complessa realtà di una classe scolastica che ospita adolescenti instabili e arrabbiati. Mi pare che a maggior ragione tutto questo si scateni se uno invece è proprio uno psicologo nell'esercizio della sua professione: e fin qui non dico niente di nuovo. Si sa, "noblesse oblige" direbbero i francesi, ti è piaciuto - direbbe qualche acidone - ed ora pedala; è nel conto di questa e di altre difficili professioni. Ma perché gli psicologi devono sentirsi addosso anche gli attacchi di professioni 'cugine'  come quella medica e quella psichiatrica, e perché devono litigare tra loro e con il loro ordine?

Ti racconto una storiella che mi riguarda: nell’estate del 1960, avevo 14 anni ed ero molto arrabbiato, soprattutto con mio padre (che non mi aveva fatto niente di speciale, solo non lo sopportavo) e non potendo picchiarlo avevo preso a dare pugni nei muri procurandomi anche qualche lesione alle ossa che ogni tanto si fa sentire. Mia madre si accorse che ero al limite, e lei che non ci portava mai dal medico - neppure con la febbre a 40 perché fronteggiava bene le emergenze e dal medico ci andava non prima di tre giorni – mi portò dal medico.
Questo diagnosticò che poiché all’epoca facevamo tre mesi di mare e vivevamo comunque sul mare, avevo assorbito troppo iodio e questo mi rendeva nervoso. Cura: deve andare in montagna e respirare aria non iodata. Detto fatto fui spedito da una zia che viveva in una centrale elettrica nei monti del trentino. Li sono stato più di un mese e non avendo altro da fare noleggiavo la bicicletta e ho scalato tutti i passi alpini dei dintorni tra i 1700 e 2100 metri, godendomi l’ossigeno dei boschi e panorami straordinari come mai più mi è accaduto. La cura funzionò in modo eccellente,  la tesi della colpa iodata dimostrata in modo inconfutabile.
Dai lì a due anni sarei andato via di casa definitivamente: stavolta perché litigavo con i professori, ma nessuno stabilì un nesso con l’episodio precedente e tanti altri verificatisi nell’intervallo. Dunque poter trovare un colpevole chimico funziona anche sotto il profilo psicologico: non turba gli equilibri stabiliti, non mette le mani in quel ginepraio che è una famiglia animata da 5 figli di cui uno in piena crisi adolescenziale. Naturalmente non serve al suddetto adolescente che resta solo con la sua rabbia, ma questo è un dettaglio trascurabile: il bene collettivo prevalga sempre, se poi c’è un effetto collaterale ….

Una mia simpatica genitrice, al centro di una vicenda di vendette incrociate con agguati e morti ammazzati, invischiata in relazioni “amorose” con almeno tre uomini diversi e figli quanto basta, di fronte al fatto che il figlio a dieci anni soffriva di enuresi notturna mi disse col sussiego di chi si prepara ad un passo difficile e coraggioso che l’avrebbe portato dal medico per fargli fare ‘i raggi in testa’: Si trattava di un elettroencefalogramma e, deduco, di uno psichiatra, perché invece quando si va dallo psicologo  si dice “ me mett’mmano o pissicologo” . Ora questo ‘mettersi in mano allo psicologo’ descrive perfettamente la differenza tra ‘farsi i raggi in testa’ che prescinde dalle sparatorie e dalla complessità di un menage a quattro e l’intervento dello psicologo che avrebbe inevitabilmente comportato uno sguardo sulla complessità dei vissuti del giovane rampollo (che peraltro in classe usava dire “pr’ssò’ io nun capisc’amme figuratevi la matematica”!).

Ai piani alti della scala sociale non si usano espressioni così ingenue ma la sostanza è anche più dura di questa: la ‘mezza cultura’ aiuta a costruire una pseudo spiegazione razionale del perché uno psichiatra  o meglio ancora un medico (naturalmente considero gli psichiatri innocenti di tutto quanto intorno alla loro figura si favoleggia) sia preferibile ad uno psicologo per affrontare problemi psichici che anche un profano capirebbe vedono nelle relazioni familiari un’aggravante quando non la causa scatenante. 
Fresca fresca: la madre di un adolescente scatenato (ambiente criminale e vicende di sangue come sopra)  che ha già mobilitato un esercito di specialisti urla disperata: sta psicologa nun e proprio ‘bona, t’aggia purtà propete addo psichiatra: a capa toia non è bbona!). (questa psicologa non va bene devo portarti proprio da uno psichiatra)
Nella gerarchia di efficacia intrusiva in medicina generale viene prima il pinnolo, poi la supposta, poi “a scatule  e serenghe (pillola, supposta scatola di siringhe )  a loro volta gerarchizzate tra quelle di poco prezzo e di alto prezzo e alla fine, il top sono ‘ e lavagg’ e sang’’ (flebo) . Nella scala di efficacia per le condotte sono nell’ordine: e’ mazzate, l’assistenza sociale, la psicologa, lo psichiatra, o’ serraglio’ (l’aggia ‘nchiurere). (Serraglio era il nome popolare di un istituto di ricovero per bambini abbandonati o riottosi altrimenti detta “casa di correzione”;  “lo devo chiudere” fa riferimento a questo tipo di istituzioni ormai scomparse – o quasi – ma ancora vive nell’immaginario popolare)

E che c’entra questo con i litigi pubblici tra psicologi, con le polemiche riguardanti l’ordine che mi pare siano ricorrenti? 
C’entra come il battito d’ali della farfalla di Pechino che causa un tornado in Florida! 
In un ambiente di alta complessità il caos può essere scatenato da una perturbazione minima del sistema.  Gli psicologi lo sappiano o meno, ne parlino oppure no stanno nell’epicentro di questi terremoti, attraggono come calamite i fulmini che si scatenano nelle innumerevoli tempeste emotive che attraversano ogni giorno a tutti i livelli la vita di una città  e di una società complessa, e sono preparati a questo? Dal mio osservatorio io vedo che già nella fase di accesso alla professione esistono strade diverse e scuole diverse – va bene, forse è bene così  - le une contro le altre armate (e questo di certo non va bene) e ci sono modi di esercizio della professione molto diversificati e vedo che ci sono modi molto diversi di affrontare la difficoltà specifica della professione: forse qualcuno pensa a ‘blindarla’ il più possibile, qualcuno pensa a costituire una difesa riflessiva, capacità di ricostituire la propria integrità professionale curando in corso d’opera le inevitabili ferite. Se non c’è un pensiero su queste cose è inevitabile che prevalgano gli attacchi, pubblici o privati che siano, perché ciascuno si sente scoperto ed indifeso. Forse qualcuno pensa che l’Ordine possa essere un baluardo contro gli attacchi delle istituzioni e del pubblico e restano delusi dal fatto che forse non riesce a fare molto per questo. 

Forse tu ed altri come te non si candidano perché sanno che non è in questione una o più persone ai vertici dell'organizzazione ma il senso di questa stessa organizzazione.

Per parte mia, riguardo a tutte le professioni che hanno a che fare con le persone e con la psiche  ho adottato questo slogan:
 “colui che avanza preceduto dal rumore dei propri passi (perché coperto di una pesante armatura NdR) morirà prima del tramonto”.
Questa frase viene detta da una vecchia contadina all’indirizzo di Lancillotto nella scena iniziale del film Lancillotto e Ginevra di Bresson. I cavalieri della tavola rotonda alla ricerca del Santo Graal, i difensori estremi della purezza della fede, in realtà sono rosi dai tarli interni della gelosia, delle invidie, della competizione per il potere:  la loro impresa non ha più alcun senso e moriranno uno dopo l’altro chiusi nelle loro armature che alla fine si riveleranno per quello che sono: contenitori vuoti. 

Cosa autorizza una persona ad insegnare ad un'altra

Ieri è stato il quarto anniversario della morte di Carla Melazzini. Negli stessi giorni c'è stato su FB un dibattito - che riporto qui sotto - innescato da Desirée dopo la lettura di Insegnare al Principe di Danimarca. Mi è sembrato un segno per me. Grazie 

Sto finalmente leggendo "Insegnare al principe di Danimarca" di Carla Melazzini (Sellerio) e mi chiedo che cosa ho avuto di tanto importante da fare finora, se non leggere questo libro. 
Lo vorrei regalare a tutti e idealmente lo regalo a tutte le persone che amo, che facciano o no questo mestiere impossibile dell'insegnante. Grazie a Cesare Moreno , ai Maestri Di Strada e a Ezio Sardella che me li ha presentati.
Non è questo il momento, né la sede ma mi piacerebbe che qualcuno mi ricordasse, perché non lo so più, che cosa autorizza una persona ad insegnare ad un'altra. — con Maria Vittoria PrimaveraMaria Grazia MaioranoMarianna Divittorio e altri 14
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Marianna Divittorio Désirée Le PERSONE come TE sono autorizzate. Punto. 
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Désirée Prestifilippo Grazie dell'incoraggiamento Marianna ma davvero non riesco più a capire come fare, cosa fare. Dentro di me prevale il bisogno di una relazione significativa, penso che QUALCHE VOLTA riusciamo a passare " le parole per dire". In generale non credo che si tratti d'altro che di dare testimonianza: di un senso, di una passione, di un punto di vista ulteriore. Ma insegnare..... Che? A chi? 
E della misurazione degli apprendimenti, ne vogliamo parlare?
E della certificazione delle competenze? C'è stato persino un tempo in cui ho creduto al valore di "dare valore" alle parole delle mie alunne, avviate lungo la strada complicata dell'acquisizione di autorevolezza. Adesso non so.
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Grazia Tarulli dato che domani vado da feltrinelli, lo aggiungo alla lista di libri da comprare...
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Angela Monica Gomez cerchero trovarlo in spagnolo
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Mila Spicola Bis Questo libro è sul mio comodino. E Cesare Moreno è uno degli italiani di cui andare fieri. Mi sento unita a lui e a Carla nel segno della passione.
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Pasquale d'Attoma Fanizzi Désirée Prestifilippo, l'autorizzazione a insegnare è data proprio dalla tua domanda: un vero Maestro non sa cosa insegna, ed è lì - dinanzi agli altri, nel mare dei suoi dubbi. Come affermò Flannery O'Connor: "Occorre molta umiltà per dire di non saper fare una cosa; ma ne serve ugualmente nel dire di saperla fare", perché implica una totale disponibilità ed un senso di responsabilità fuori del comune. Qualità che ti riconosco, da sempre

Aristotele poneva al vertice delle relazioni umane l'amicizia

Desirèe  sono d’accordo con le tue domande e con le risposte dei tuoi amici fondate sul fatto che tu possa insegnare come realtà auto evidente.  Ma i dubbi interiori di chi ha tanta stima dagli altri restano e per certi versi si accrescono. Ho pensato che  questo è un caso in cui risulta evidente la differenza tra un ‘me’ socialmente stabilito ed un “sé” che proviene dal proprio interno anche se sappiamo che tra queste due entità psichiche esistono complessi rapporti. E’ certo che nel tuo caso il me sociale forse riesce a dare una mano al sé interiore. Per troppi nostri allievi succede l’esatto contrario. Quindi io ripeto quello che dicono i tuoi amici che ti conoscono – io non ti conosco – con altra parole: può insegnare chi resta in contatto con il sé e quindi può capire i giovani “senza capirli”, ossia sentendo i dubbi e le difficoltà dei giovani perché sono del tutto simili ai propri; più che capire condivide, ha una empatia, ossia sente le stesse cose. Dopo questo contatto empatico il resto non è altro che un dispiegarsi condiviso di un comune sentire, di un dolore – niente di tragico, il normale disagio di non sapere chi sono, perché ci sono, dove vado – che ci accomuna.  La maieutica non è altro che questo, un tirar fuori la conoscenza di sé dalle profondità dell’essere che non è il luogo del sublime, della bellezza accecante, del bello assoluto come ci lasciano credere le aggettivazioni romantiche della profondità, ma il luogo dove giacciono le paure, i dubbi, le fragilità proprie dell’umano.
Dunque è vero non abbiamo niente da insegnare a nessuno. Orazio diceva che tutto si può insegnare a tutti. Noi l’esatto contrario! Invece tutti possiamo scoprire noi stessi in un processo che non è mai individuale ma è sempre in funzione di un altro.  Chi di mestiere fa l’insegnante o l’educatore ha il privilegio immenso di potersi riscoprire continuamente perché se accompagna i giovani  resta giovane. Uno psichiatra natole,ano Sergio Piro, diceva che l’umanità giovanile è l’unica umanità di cui disponiamo, (non so se  fosse un pensiero suo ma io l’ho appreso da lui)  perché se l’essere giovani significa mutabilità, capacità di nutrirsi della vita, questa è anche la definizione dell’umano rispetto al puro stato di natura. Restare giovani attraverso i giovani non è quindi uno slogan o un vezzo, ma è una realtà che si conquista con una dura fatica, pagando il costo di vedere continuamente smonta tele proprie sicure costruzioni.  
Allora è vero che non si insegna, ma è vero che si cresce insieme e l’unica autorizzazione di cui disponiamo è quella che ci concedono le giovani persone quando accettano il nostro accompagnamento, quando riconoscono che attraverso noi la conoscenza di sé va avanti.
E’ capitato che due nostre educatrici, -  una a Napoli, una a Roma, una giovane, una di mezza età - dovessero lasciare i loro allievi, quelli con cui ‘si scontravano’ ogni giorno, che non mancavano di redarguire quando facevano male a se stessi e che questi abbiano detto un po’ per celia un po sul serio “ ma se è una questione di soldi ce li mettiamo noi” ed uno di loro ha anche fotocopiato una banconota da 50!  Questo uso del danaro, come dice il mio amico Vero Tarca, è sublime perché è una specie di suggello nel linguaggio del mercato di qualcosa che non ha prezzo, quell’amicizia che i filosofi antichi ponevano al vertice delle relazioni umane e che è la solidarietà umana e non certo la complicità giovanilista dei piacioni.
Qualsiasi insegnante ha sperimentato almeno una volta nella carriera il momento magico  in cui, insegnando economia aziendale o ragioneria, o meccanica o latino o greco, è accaduto almeno con un allievo che si stabilisse una comunicazione empatica come quella che sto descrivendo. Sappiamo che esiste questa particella misteriosa sub atomica ma non sappiamo rivelarla, ci serve un ‘macchinario’ per poterla vedere.  Noi maestri di strada abbiamo la pretesa di avere disponibile questa tecnologia, riusciamo ad usarla e tra mille difficoltà riusciamo a stabilire in modo sistematico questo incontro ravvicinato del quarto tipo (l’ho inventato ora non fateci caso) che molti hanno realizzato casualmente.

Ieri era il quarto anniversario della morte di Carla Melazzini. Alle 17 e 30, nell’ora in cui esalava l’ultimo respiro mi trovavo in una scuola che organizzava una “notte bianca”  e un ‘faccia a faccia” tra i ragazzi ed il sindaco,  e mostre e canti e musiche e cori. Tutte cose molto buone fatte con dedizione e sacrificio, ed ho pensato a Carla sempre così misurata che per non scontentare le sue allieve più sguaiate si è persino travestita per un carnevale, sapeva che in quel momento se si fosse appartata l’avrebbe ferita. E questo è solo un esempio, il meno poetico di tutti, il meno significativo visto nell’ottica del consumismo e del conformismo, di come lei si sia lasciata trasformare dai suoi allievi, come abbia aperto le porte del suo animo a quanto di più distante ci fosse nella sua vita e di più estraneo al suo modo di pensare né per scimmiottarlo né per condannarlo ma solo per capire le ragioni profonde dell’attaccamento dei suoi allievi a qualcosa di così alieno da lei. Ed io che ero suo compagno – con tutti i difetti che un uomo porta nelle sue relazioni con una donna – ho visto quanto questa esperienza l’avesse migliorata nei confronti di se stessa, dei figli e un po’ anche nei miei confronti. Quando dico ‘crescere insieme’  non è uno slogan politicamente corretto ma una realtà sperimentata e che sperimento ancora.
Così, voi non lo sapete, mi avete aiutato a celebrare questo anniversario, dandomi la sensazione precisa di qualcosa che resta, è vivo ed agisce ancora, che non me la restituisce anzi, ma che mi aiuta a trovare un senso finché è importante avere un senso.

Ringrazio quindi tutti voi per questo dialogo e particolarmente Mila per le parole che ha avuto anche per me.

Un’altra volta spiego perché non ho parlato di
E della misurazione degli apprendimenti, ne vogliamo parlare?
E della certificazione delle competenze?



La mia foto
Napoli, NA, Italy
Maestro elementare, da undici anni coordina il Progetto Chance per il recupero della dispersione scolastica; è Presidente della ONLUS Maestri di Strada ed in questa veste ha promosso e realizzato numerosi progetti educativi rivolti a giovani emarginati.