Ieri è stato il quarto anniversario della morte di Carla Melazzini. Negli stessi giorni c'è stato su FB un dibattito - che riporto qui sotto - innescato da Desirée dopo la lettura di Insegnare al Principe di Danimarca. Mi è sembrato un segno per me. Grazie
Sto
finalmente leggendo "Insegnare al principe di Danimarca" di Carla
Melazzini (Sellerio) e mi chiedo che cosa ho avuto di tanto importante da fare
finora, se non leggere questo libro.
Lo vorrei regalare a tutti e idealmente lo regalo a tutte le persone che amo, che facciano o no questo mestiere impossibile dell'insegnante. Grazie a Cesare Moreno , ai Maestri Di Strada e a Ezio Sardella che me li ha presentati.
Non è questo il momento, né la sede ma mi piacerebbe che qualcuno mi ricordasse, perché non lo so più, che cosa autorizza una persona ad insegnare ad un'altra. — con Maria Vittoria Primavera, Maria Grazia Maiorano, Marianna Divittorio e altri 14
Lo vorrei regalare a tutti e idealmente lo regalo a tutte le persone che amo, che facciano o no questo mestiere impossibile dell'insegnante. Grazie a Cesare Moreno , ai Maestri Di Strada e a Ezio Sardella che me li ha presentati.
Non è questo il momento, né la sede ma mi piacerebbe che qualcuno mi ricordasse, perché non lo so più, che cosa autorizza una persona ad insegnare ad un'altra. — con Maria Vittoria Primavera, Maria Grazia Maiorano, Marianna Divittorio e altri 14
·
·
Désirée Prestifilippo Grazie dell'incoraggiamento Marianna ma davvero
non riesco più a capire come fare, cosa fare. Dentro di me prevale il bisogno
di una relazione significativa, penso che QUALCHE VOLTA riusciamo a passare
" le parole per dire". In generale non credo che si tratti d'altro
che di dare testimonianza: di un senso, di una passione, di un punto di vista
ulteriore. Ma insegnare..... Che? A chi?
E della misurazione degli apprendimenti, ne vogliamo parlare?
E della certificazione delle competenze? C'è stato persino un tempo in cui ho creduto al valore di "dare valore" alle parole delle mie alunne, avviate lungo la strada complicata dell'acquisizione di autorevolezza. Adesso non so.
E della misurazione degli apprendimenti, ne vogliamo parlare?
E della certificazione delle competenze? C'è stato persino un tempo in cui ho creduto al valore di "dare valore" alle parole delle mie alunne, avviate lungo la strada complicata dell'acquisizione di autorevolezza. Adesso non so.
·
·
·
Mila Spicola Bis Questo libro è sul mio comodino. E Cesare Moreno è uno
degli italiani di cui andare fieri. Mi sento unita a lui e a Carla nel segno
della passione.
·
Pasquale d'Attoma Fanizzi Désirée Prestifilippo,
l'autorizzazione a insegnare è data proprio dalla tua domanda: un vero Maestro
non sa cosa insegna, ed è lì - dinanzi agli altri, nel mare dei suoi dubbi.
Come affermò Flannery O'Connor: "Occorre molta umiltà per dire di non
saper fare una cosa; ma ne serve ugualmente nel dire di saperla fare",
perché implica una totale disponibilità ed un senso di responsabilità fuori del
comune. Qualità che ti riconosco, da sempre
Aristotele poneva al vertice delle relazioni umane l'amicizia
Desirèe sono
d’accordo con le tue domande e con le risposte dei tuoi amici fondate sul fatto
che tu possa insegnare come realtà auto evidente. Ma i dubbi interiori di chi ha tanta stima dagli altri
restano e per certi versi si accrescono. Ho pensato che questo è un caso in cui risulta evidente
la differenza tra un ‘me’ socialmente stabilito ed un “sé” che proviene dal
proprio interno anche se sappiamo che tra queste due entità psichiche esistono
complessi rapporti. E’ certo che nel tuo caso il me sociale forse riesce a dare
una mano al sé interiore. Per troppi nostri allievi succede l’esatto contrario.
Quindi io ripeto quello che dicono i tuoi amici che ti conoscono – io non ti
conosco – con altra parole: può insegnare chi resta in contatto con il sé e
quindi può capire i giovani “senza capirli”, ossia sentendo i dubbi e le
difficoltà dei giovani perché sono del tutto simili ai propri; più che capire
condivide, ha una empatia, ossia sente le stesse cose. Dopo questo contatto
empatico il resto non è altro che un dispiegarsi condiviso di un comune
sentire, di un dolore – niente di tragico, il normale disagio di non sapere chi
sono, perché ci sono, dove vado – che ci accomuna. La maieutica non è altro che questo, un tirar fuori la
conoscenza di sé dalle profondità dell’essere che non è il luogo del sublime,
della bellezza accecante, del bello assoluto come ci lasciano credere le
aggettivazioni romantiche della profondità, ma il luogo dove giacciono le
paure, i dubbi, le fragilità proprie dell’umano.
Dunque è vero non abbiamo niente da insegnare a nessuno.
Orazio diceva che tutto si può insegnare a tutti. Noi l’esatto contrario!
Invece tutti possiamo scoprire noi stessi in un processo che non è mai
individuale ma è sempre in funzione di un altro. Chi di mestiere fa l’insegnante o l’educatore ha il
privilegio immenso di potersi riscoprire continuamente perché se accompagna i
giovani resta giovane. Uno psichiatra
natole,ano Sergio Piro, diceva che l’umanità giovanile è l’unica umanità di cui
disponiamo, (non so se fosse un
pensiero suo ma io l’ho appreso da lui)
perché se l’essere giovani significa mutabilità, capacità di nutrirsi
della vita, questa è anche la definizione dell’umano rispetto al puro stato di
natura. Restare giovani attraverso i giovani non è quindi uno slogan o un
vezzo, ma è una realtà che si conquista con una dura fatica, pagando il costo
di vedere continuamente smonta tele proprie sicure costruzioni.
Allora è vero che non si insegna, ma è vero che si cresce
insieme e l’unica autorizzazione di cui disponiamo è quella che ci concedono le
giovani persone quando accettano il nostro accompagnamento, quando riconoscono
che attraverso noi la conoscenza di sé va avanti.
E’ capitato che due nostre educatrici, - una a Napoli, una a Roma, una giovane,
una di mezza età - dovessero lasciare i loro allievi, quelli con cui ‘si
scontravano’ ogni giorno, che non mancavano di redarguire quando facevano male
a se stessi e che questi abbiano detto un po’ per celia un po sul serio “ ma se
è una questione di soldi ce li mettiamo noi” ed uno di loro ha anche
fotocopiato una banconota da 50!
Questo uso del danaro, come dice il mio amico Vero Tarca, è sublime
perché è una specie di suggello nel linguaggio del mercato di qualcosa che non
ha prezzo, quell’amicizia che i filosofi antichi ponevano al vertice delle
relazioni umane e che è la solidarietà umana e non certo la complicità
giovanilista dei piacioni.
Qualsiasi insegnante ha sperimentato almeno una volta nella
carriera il momento magico in cui,
insegnando economia aziendale o ragioneria, o meccanica o latino o greco, è accaduto
almeno con un allievo che si stabilisse una comunicazione empatica come quella
che sto descrivendo. Sappiamo che esiste questa particella misteriosa sub
atomica ma non sappiamo rivelarla, ci serve un ‘macchinario’ per poterla
vedere. Noi maestri di strada
abbiamo la pretesa di avere disponibile questa tecnologia, riusciamo ad usarla
e tra mille difficoltà riusciamo a stabilire in modo sistematico questo
incontro ravvicinato del quarto tipo (l’ho inventato ora non fateci caso) che
molti hanno realizzato casualmente.
Ieri era il quarto anniversario della morte di Carla
Melazzini. Alle 17 e 30, nell’ora in cui esalava l’ultimo respiro mi trovavo in
una scuola che organizzava una “notte bianca” e un ‘faccia a faccia” tra i ragazzi ed il sindaco, e mostre e canti e musiche e cori.
Tutte cose molto buone fatte con dedizione e sacrificio, ed ho pensato a Carla
sempre così misurata che per non scontentare le sue allieve più sguaiate si è
persino travestita per un carnevale, sapeva che in quel momento se si fosse
appartata l’avrebbe ferita. E questo è solo un esempio, il meno poetico di
tutti, il meno significativo visto nell’ottica del consumismo e del
conformismo, di come lei si sia lasciata trasformare dai suoi allievi, come abbia aperto le porte del suo animo a quanto di più distante ci fosse nella sua vita
e di più estraneo al suo modo di pensare né per scimmiottarlo né per
condannarlo ma solo per capire le ragioni profonde dell’attaccamento dei suoi
allievi a qualcosa di così alieno da lei. Ed io che ero suo compagno – con
tutti i difetti che un uomo porta nelle sue relazioni con una donna – ho visto
quanto questa esperienza l’avesse migliorata nei confronti di se stessa, dei
figli e un po’ anche nei miei confronti. Quando dico ‘crescere insieme’ non è uno slogan politicamente corretto
ma una realtà sperimentata e che sperimento ancora.
Così, voi non lo sapete, mi avete aiutato a celebrare questo
anniversario, dandomi la sensazione precisa di qualcosa che resta, è vivo ed
agisce ancora, che non me la restituisce anzi, ma che mi aiuta a trovare un
senso finché è importante avere un senso.
Ringrazio quindi tutti voi per questo dialogo e
particolarmente Mila per le parole che ha avuto anche per me.
Un’altra volta spiego perché non ho parlato di
E della misurazione degli apprendimenti, ne vogliamo
parlare?
E della certificazione delle competenze?
E della certificazione delle competenze?
Nessun commento:
Posta un commento