martedì 12 aprile 2011

Calvinisti napoletani


Simona Molisso giovane e intraprendente avvocato, cittadina della periferia orientale di Napoli - mi viene da dire del fronte orientale - che ai periferici e agli esclusi, abitandoci in mezzo, dedica le sue capacità professionali, ha deciso di candidarsi alle prossime elezioni comunali questa è una lettera di solidarietà a lei indirizzata.



Aprile 1991: Angelo di anni 10 aveva ascoltato rapito la storia di Giuseppe che avevo raccontato in più puntate ma non riusciva a darsi conto di un dettaglio che nonostante i suoi dieci anni  lo colpiva particolarmente: perché Giuseppe non accettò la corte della moglie di Putifarre. Alle mie contorte spiegazioni rispose: Agge’ capit’, Giuseppe rispettava a’ legge quando a’ legge nun ce’ sta.
Angelo mi aveva chiesto più volte come si fa a sfuggire al crimine quando ci sei nato dentro e lui era in una famiglia di limpida fede cutoliana. Limpida fede perché sua madre era convinta di essere seguace di poco meno di un santo.  Angelo oggi marcisce in una galera perché non ha rispettato la legge quando questa c’è,  ma avrebbe potuto diventare un perfetto cittadino attivo se solo tutti i bravi cittadini che ha incontrato sulla sua strada non avessero peccato di omissioni, distrazioni, sciatterie, trascuratezze; se solo non ci fossero troppe persone in questa città che condannano la merda che dall’alto e dal basso si sparge  nelle strade e nelle coscienze e poi ci si rigirano dentro cercando di trarne un qualsiasi piccolo vantaggio.
Angelo è il primo che mi ha fatto riflettere sul fatto che esiste la possibilità di seguire la legge del rispetto umano, anche quando la legge vigente nella vita sociale e in troppi uffici è quella della prepotenza, dell’arbitrio, del favore. Angelo si sentiva predestinato al male e così era: non per volontà divina ma per una ferrea volontà sociale incorporata in un organismo sociale ammalato. Solo se avesse scoperto un altro destino,  una predestinazione con la forza del divino avrebbe potuto tirarsi fuori.
Per  sviluppare il mio ragionamento prendo a caso una frase sul calvinismo dal web:


In fondo la predestinazione è un concetto religioso che riflette una situazione sociale basata sull'antagonismo di classe e sull'individualismo."Fare il bene", nell'ottica calvinista, altro non può significare che "fare bene il proprio dovere", deciso a priori da Dio, e in particolare il proprio "dovere professionale".


Il calvinsta napoletano rappresenta l’evoluzione laica della predestinazione divina  al bene, e consiste nel fare bene il proprio dovere e il proprio dovere professionale come se ce lo avesse detto Dio perché solo in questo modo puoi resistere alla pressione ambientale, perché solo così sei convinto che qualsiasi cosa accada starai bene con te stesso, perché c’è una legge che tu conosci prima che si sia manifestata e prima che sia stata scritta.
Ci sono stati altri che hanno detto la stessa cosa in altri contesti, che hanno detto che i legami umani vengono prima dei legami politici, che la legge interiore è più forte e dà forza alle leggi scritte anche quando queste vengono usate contro di te. Gli antichi non hanno potuto fare a meno di impersonare la forza dei legami in una donna – Antigone – che dà voce in una rappresentazione scenica tragica alla realtà femminile che non aveva rappresentanza nel reale, e uno di loro non ha potuto fare a meno di agire  nel reale – con la sua ingiusta morte  - la rappresentazione del conflitto morale: si chiamava Socrate. Ricordarmi questi due nomi rappresenta per me un modo di rientrare in me quando sento puzzo di cedimento.
L’etica calvinista è perfettamente rappresentata  dal concetto filosofico napoletano “ciuccio e’ fatica” : lavora indefessamente, mangia poco, è determinato, perseverante, detto anche  ‘capa tosta’. La virtù della perseveranza è contenuta anche nel concetto filosofico di ‘cane e’ presa’  che credo si riferisca alla caccia, ma io lo riferisco alla presa sui polpacci nel senso del cane da guardia che una volta li abbia addentati non li molla.
La figura dell’asino refrattario agli ordini degli umani, poco permeabile ai ragionamenti sofisticati  si addice  come riferimento a fronte di una cultura in cui la creatività linguistica o forse la corruzione – prostituzione - della parola,  diventa la nebbia che nasconde anche a se stessi il degrado dei comportamenti. Ritornare sempre alle cose elementari, all’essenza delle questioni umane è l’unica salvezza rispetto alle seduzioni della corruzione ammantate di buone parole.
Di queste cose ragiono spesso scherzosamente con gli amici e qualche volta anche con Simona e soprattutto ho visto Simona all’opera: la negazione dell’azzecca garbugli, una che scova il cavillo per aiutare la donna maltrattata,  l’immigrato ‘senza legge’, il maestro di strada maltrattato dagli scherani di partito. Dunque una persona in cui aver fiducia perché ha fiducia in se stessa.
Fa bene Simona a dire che bisogna essere espressi da un gruppo, ma fa ancora meglio a dichiararsi calvinista napoletana e a mettere in chiaro che si sta bene in un gruppo se ci sono scambi circolari e se viene accettato il conflitto, se c’è l’alleanza delle nostre parti migliori e se il mandato è chiaro. Quante volte come avvocato si è trovata di fronte a mandati ambigui, contraddittori, paradossali? Anche di questo abbiamo parlato: professionalità è anche riuscire a dipanare mandati difficili, a non inchinarsi al cliente. Serve un contratto chiaro e una chiara identificazione delle parti e dei ruoli che ciascuno recita.
 Le formazioni politiche che dominano le periferie e la nostra in particolare  non  sono corrotte perché sono distanti dal popolo ma perché sono rappresentanti della sua corruzione da loro stessi alimentata: sono legate da contratti scellerati, alleanza con la parte peggiore che esiste anche nelle persone migliori, alleati con la paura del potere che alligna anche tra ‘chi ha studiato’ , con il bisogno di protezione che hanno anche i  forti, con la tentazione del favoritismo che hanno anche gli onesti.  No, tutto possiamo dire tranne che non siano legati al popolo, anzi direi che hanno addirittura legato il popolo e lo portano al guinzaglio. E spesso non si accorgono che quando hai troppi guinzagli in mano sono loro a trascinare te e non tu a guidare loro. La fine di tutti gli arrivisti e di tutti i capipopolo con la vocazione del caporale è di essere travolti dalle stesse cattive qualità che hanno eccitato nei propri sudditi: monnezza eri e monnezza tornerai. (quia pulvis eris et in pulverem reverteris ) e  i sudditi ti abbandoneremo sui marciapiedi a fetere (puzzare).


L’uomo è un’animale politico, ossia un animale che si nutre di relazioni. Il politico di professione o il politico ‘incaricato’ dovrebbe rappresentare il punto di accumulazione di una competenza politica distribuita,  che altro non è che presenza di persone vere, individui, esemplari della specie politica ricchi di relazioni, di capacità di creare nuove relazioni e nuove alleanze  nella vita civile che è la vita  della città, cioè la politica.
La politica delle città, l’urbanistica delle città e il governo di essa ha spossessato le persone di capacità politiche, ha atomizzato le persone, le ha rinchiuse nella paure alimentate da fantasmi e presenze reali e le ha consegnate a un individualismo impotente e rabbioso che è da sempre la fonte primaria del fascismo antropologico, della personalità autoritaria.  E quegli stessi politici – meglio dire uomini di potere - che spossessano l’uomo della capacità politica si presentano all’uomo impotente dicendogli: solo nella massa puoi avere potere. Il collettivismo e l’egualitarismo sono l’oppio che dovrebbe far dimenticare il dolore dell’isolamento, le sofferenze dell’individualismo.
L’atrofizzazione della capacità politica umana che porta alla competizione individualistica di tutti contro tutti è il vero pericolo per chi si metta in politica, perché molti seguaci  e sostenitori in realtà sono portatori sani del virus dell’antipolitica, e faranno di tutto per piegare la sua capacità politica a strumento della competizione individuale: cambiare posizione nella scala sociale piuttosto che cambiare i rapporti sociali.
Credo che Simona e molti di noi che cercano di restare calvinisti napoletani abbiamo già fatto esperienza di quanto i gruppi non desiderano avere un leader ‘franco agli altri come a sé’, desiderano piuttosto un capo-ostaggio,  un re senza corona che li assecondi e li guidi  nello sgomitare,  farsi avanti, scalare posizioni sociali. 


Io non ho accettato la candidatura per una decisione  presa molto tempo fa che riguarda il rapporto tra società civile e politica: sono d’accordo che la buona politica debba provenire da chi costruisce attraverso le professioni, il lavoro, la cittadinanza attiva,  legami sociali, ma ciò non può avvenire con la logica del saccheggio, del prelievo indiscriminato da giacimenti naturali di buona socialità, occorre un rapporto di scambio chiaro tra formazioni sociali e formazioni politiche che oggi non vedo neppure nelle formazioni politiche che si dichiarano alternative al sistema consociativo che vige ancora nella nostra città. Le formazioni politiche dominanti e quelle alternative che spuntano ad ogni elezione hanno saccheggiato ogni volta di persone pur valide la società civile e puntualmente  l’alternativa si è tradotta in una carriera – anche onorevole e rispettabile – e in una trasmigrazione più o meno esplicita nei ranghi dominanti. Non sono disponibile a sguarnire la mia solida posizione di potere in mezzo a una strada per entrare nella costellazione del potere privato delle mie radici. Non ho paura del potere nè di esercitarlo; ho collaborato con il ministro del secondo ministero italiano per bilancio e dipendenti e l’ho fatto a condizione di poter  restare legato alle mie radici al lavoro nel quale si riteneva avessi maturato le competenze per essere chiamato a collaborare. Ed ho fatto bene perché ho potuto riprendere il mio posto in trincea quando lor signori  si sono disgustati di me, e sono presente sulla scena politica vera quando di quelli che mi hanno cacciato non si ricorda neppure il nome. La stessa cosa è capitata  pochi mesi orsono. Questo ho detto anche a De Magistris  e al tempo stesso dico che sono disponibile a mettere in campo le risorse  necessarie che sono soprattutto  le risorse di pensiero e lavoro che derivano dal continuare una pratica sociale decisiva per il futuro della nostra città e la capacità di oppormi alle derive lassiste che possono svilupparsi – per stanchezza, per la sproporzione delle forze, per i tradimenti, per debolezza, per vanità – anche  in chi vuole cambiare rispetto ad un avversario politico solidamente ancorato in meccanismi di sudditanza consolidati nei secoli.


Quindi a Simona dico che appoggio incondizionatamente la sua candidatura proprio perché io l’ho rifiutata come rifiuto di fare il galoppino elettorale di chiunque, anche di Simona, ed invece sono lieto di promuovere e sostenere la rete dei cittadini attivi e il partito trasversale dei calvinisti napoletani che deve sostenere qualsiasi eletto.
Sia ben chiaro, i voti vanno raccolti e con determinazione, e contandoli  uno ad uno e valorizzandoli uno ad uno, ma bisogna rifiutare la logica della semplice conta, di “una testa un voto”. Qui dobbiamo avere testa e cuore per cento, la conta dei voti determina il risultato elettorale, ma è la qualità dei legami che determina le qualità dell’eletto. Non possiamo affrontare l’elezione con la logica emergenziale, con la logica dell’ultima spiaggia, con l’eccitazione nervosa degli esclusi che intravedono di poter finalmente entrare nelle stanze proibite. Tutto questo l’ho già visto, anche nelle stanze di Decidiamo Insieme, e poi nè si prendono abbastanza voti, né restano abbastanza legami. 


Che il domani sia propizio a tutti noi 


Cesare Moreno

La mia foto
Napoli, NA, Italy
Maestro elementare, da undici anni coordina il Progetto Chance per il recupero della dispersione scolastica; è Presidente della ONLUS Maestri di Strada ed in questa veste ha promosso e realizzato numerosi progetti educativi rivolti a giovani emarginati.