- ho chiesto una valutazione del progetto che risponda alla domanda se sia o meno il caso di generalizzarlo. Che il progetto sia ricco di riconoscimenti scientifici mi è ben noto avendo contribuito a fare in modo che accadesse; ciò che invece non è mai stato oggetto non dico di valutazione, ma di considerazione è la sua fattibilità in modo generale. Spesso i riconoscimenti, le medaglie, le esaltazioni hanno contribuito a incapsulare iil progetto in un'aura di irripetibilità che è l'opposto di ciò che vogliamo.
- ho chiesto che qualche politico si occupi seriamente di una politica con i giovani e non un politico che si occupi di Chance. Di Chance si occupano fin troppo quando si tratta di giocarlo in quelle partite di mala politica di cui parla molto acutamente Marco. La mia richiesta, era molto chiaro nel contesto, riguardava appunto un politica generale con i giovani che fosse lo sfondo in cui devono operare le politiche formative e le attività di inclusione sociale per giovani altrimenti esclusi
- ho chiesto un "project manager" e qui la mala parola, da me usata di proposito, alimenta reazioni automatiche. Il progetto Chance quest'anno ha amministrato 1,3 milioni di euro in modo diretto, oltre 500.000€ valgono gli stipendi statali pagati e alcune centinaia di migliaia gli euro vale l'uso delle strutture e delle attrezzature delle scuole; ha fatto una decina tra bandi e gare di appalto; ha stipulato alcune centinaia di contratti a persone e ditte; ha svolto 12.000 ore di attività. Un volume di attività enorme che richiede pianificazione, rispetto dei tempi, responsabilità. Eppure questo progetto non dispone di un direttore generale (forse l'espressione è meno irritante di project manager): c'è un preside che risponde della amministrazione dei docenti statali mentre è impegnato a gestire una scuola con centinaia di docenti e migliaia di alunni oltre a svariati progetti europei ed iniziative ministeriali; c'è un direttore dei servizi amministrativi che si occupa di rispettare le procedure e rendicontare la spesa e c'è infine un coordinamento pedagogico costituito da due insegnanti e da una 'preside a contratto' ossia una preside in pensione con un contratto di collaborazione. Quest'ultimo gruppo è 'autopromosso', dispone a malapena di una delega del preside a gestire operativamente il progetto, ma non ha nè il rango, nè il potere che spetterebbe a una persona o a un gruppo che sia il reale coordinamento del progetto. Un direttore generale vero deve rispondere dei risultati e del buon impiego dei danari pubblici ( e non solo di aver rispettato le procedure), deve promuovere il progetto in funzione dell'obiettivo della sua generalizzazione; come dico nella mia richiesta deve essere disponibile all'invenzione e al rischio. Può essere anche uno di noi che ha imparato e ha dimostrato di saper gestire questa enorme complessità. Meglio ancora dovrebbe essere un gruppo, un vero e proprio consiglio d'amministrazione, con diverse competenze che affronti in modo organizzato la complessità del progetto strategico collegato al piccolo progetto Chance. Questo è un passaggio indispensabile perché si passi da una idea-progetto generale, che ormai esiste ed è riconosciuta, a un progetto reale in grado di investire progressivamente tutte le situazioni in cui è opportuno che si realizzi.
Le cose che in questo momento ho cominciato a discutere con la Regione sono di questo tipo. Già l'anno scorso ci è stato chiesto un raddoppi e ora una ulteriore generalizzazione. Naturalmente occorre fare i conti con i tempi tecnici della Regione e con la reale disponibilità di risorse finanziarie, tuttavia si va in direzione della costituzione di un servizio e non nella direzione di una realizzazione effimera di un progetto prestigioso.
Dunque la questione è questa: c'è un tipo di politica che Marco ha descritto molto bene che a un certo punto per sua necessità ha bisogno di mettere il suo marchio su iniziative prodotte dalla società civile; le iniziative a loro volta hanno un bisogno vitale di riconoscimento istituzionale dunque è possibile un incontro.
Questi incontri possono finire in due modi:
- Primo: i promotori dell'iniziativa vengono cooptati come consulenti, consiglieri responsabili di un qualche servizio e costoro identificano il progresso della loro causa con il progresso della propria carriera. In questo modo non si perde un pezzo del progetto, ma si perde la forza che ti ha portato fino a quel punto.
- Secondo i promotori dell'iniziativa cercano di promuove e generalizzare il metodo e l'organizzazione pratica che è in grado di attuare quel metodo. L'impresa è molto più difficile ma può riuscire se chi si propone ha sufficiente fiducia nelle cose su sui ha lavorato ed è in grado di pretendere il rispetto per la propria professionalità.
Personalmente ho fatto più volte esperienza di come si possa promuovere una persona per rimuovere il problema di cui si occupa. Quando ho fatto il consulente del Minitero sui problemi della dispersione mi avevano riservato una stanza in viale Trastevere e io ci ho messo piede tre o quattro volte al sabato: la condizione che posi e che rispettai era che i consigli li avrei trovati per strada a Napoli non in viale Trastevere.
Quando uno sciagurato provveditore decise che doveva liberasi di me mi offrì un 'feudo' periferico dove avrei potuto continuare a fare quello che lui voleva impedirmi a livello generale. Dissi no grazie e sono ritornato in classe. Due anni dopo sono stato chiamato a Chance ed ho accettato a patto che si facessero alcune cose, per esempio una sistematica 'manutenzione della risorsa umana' o, fuori della metafora meccanica, ciò che si chiama "apprendimento professionale in situazione" da parte di docenti ed educatori: esattamente ciò che voleva impedirmi quel provveditore.
Insomma una iniziativa della società civile come la nostra ( e ce ne sono tante altre) può negoziare tranquillamente anche con la politica più maneggiona a patto che sia sufficientemente sicura di sé, a patto che non scambi la causa per cui batte con un posto di potere. Il fatto è che troppe volte le iniziative della società civile dipendono mentalmente prima che finanziariamente dai poteri costituiti e hanno paura di mordere la mano che li nutre (anche se in realtà sono loro a nutrire il proprietario della mano).
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